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La piadina sammarinese? La ricetta del Consorzio Terra di San Marino

da Redazione

Dina Molinari di R&M, azienda sammarinese che si occupa e produce proprio il cosiddetto “pane romagnolo”. Dai laboratori dell’azienda “escono” oggi almeno quattro tipi di piade.

 

Deve essere cantata a ritmo di musica, la piada. Ci spostiamo, ma solo idealmente, verso la Romagna, a bussiamo a casa di Secondo e Raoul Casadei. Il campanello non fa il classico “dlin dlon”, bensì annuncia un passaggio di “Burdèla campagnola”: “…oh bèla fiola, zira la pida, st’atenti che l’an’s brousa, la pida rumagnola…”.

Ed è nella stessa tonalità della canzone che ci apre la porta Dina Molinari di R&M, azienda sammarinese che si occupa e produce proprio il cosiddetto “pane romagnolo”.

Dai laboratori di R&M “escono” oggi almeno quattro tipi di piade.

“A quella più ‘classica’, affianchiamo la piadina sammarinese, la fibrella e quella al grano khorasan, meglio conosciuto come kamut, che ha un elevato contenuto di proteine e sali minerali, come ad esempio il selenio, lo zinco e il magnesio”.

La signora Dina sorride, e ci accompagna nei laboratori dell’azienda. “Ad oggi produciamo circa 10 mila piadine classiche al giorno. Quelle sammarinesi invece sono circa 2 mila alla settimana. Mille quelle al ‘kamut’, sempre ogni sette giorni”.

Poi si ferma, e mentre impasta, si sofferma sulla “Fibrella”: “Questa piadina ha una percentuale di crusca d’avena e pochissimi grassi. L’effetto al palato però è incantevole: è molto morbida e ha una bassissima percentuale di colesterolo”.

Ma è su quella sammarinese che si sofferma più a lungo. “L’idea è nata assieme al Consorzio Terra di San Marino. Ci hanno chiesto una piadina ‘locale’, ovvero creata con prodotti del territorio. Per questa piadina utilizziamo il latte delle mucche del Titano, l’olio extra vergine di oliva delle nostre piante, e la farina di tipo 0, proveniente dalle nostre terre. Non è sottile come quella di Rimini, ma nemmeno ‘alta’ come quella che fanno a Ravenna, o a Cesena. Abbiamo optato per una misura intermedia”. Poi la signora Dina ci svela un segreto. “Una buona piadina dipende dal tempo di riposo dell’impasto, ma anche dalla temperatura dell’ambiente, e dalla farina. Anche la percentuale d’acqua è variabile. Per stenderla bene, basta un unico colpo di mattarello. Poi va girata, sino a che non assume la caratteristica forma di cerchio”.

C’è chi la abbina alla nutella, chi ai fichi caramellati assieme al formaggio di fossa, o alla marmellata. Chi alla mortadella. E al miele.

“E’ un cibo versatile, veloce da preparare e da consumare – prosegue la signora Dina Molinari -. E che accoglie infinite farciture: c’è chi la preferisce dolce e chi salata. Il mio consiglio è di abbinarla all’insalata, oppure al prosciutto, o alla casatella, ma assieme alla rucola”.

Così fresca e così apprezzata anche dai giovani – come spuntino al mare o durante una scampagnata in montagna assieme agli amici – eppure non tutti sanno che la piada è una signora di una certa età.

La prima testimonianza scritta difatti risale all’anno 1371. Nella “Descriptio Romandiolae” il cardinal Legato Anglico de Grimoard ne fissa per la prima volta la ricetta: “Si fa con farina di grano intrisa d’acqua e condita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po’ di strutto”.

E a vederla oggi, i suoi anni li porta davvero egregiamente.

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