Emiliano Poddi, docente della Scuola Holden San Marino, tra scrittura e recupero della memoria. Un viaggio nelle radici più profonde del racconto.
di Alessandro Carli
La storia di Emiliano Poddi è una favola. Nel 2002 si trasferisce a Torino per frequentare la Scuola Holden. A distanza di circa 10 anni, ha superato la quarta parete – quella che separa il palco dal pubblico – e adesso si trova in cattedra.
Dal 2004 collabora con diverse compagnie teatrali (“Accademia dei Folli”, “Progetto Cantoregi”, “Meridiani perduti”) che gli commissionano testi sui più svariati argomenti, dalle lotte della Resistenza all’invenzione del grissino. Sempre dal 2004 si occupa di radio come autore e regista (Radio2 Rai e Radio Svizzera Italiana), anche qui spaziando dal curling di Torino 2006 all’assedio di Leningrado del 1941. Nel 2007 ha pubblicato con Instar Libri il suo primo romanzo: Tre volte invano, selezione Premio Strega. Nel 2010, sempre per Instar, è uscito il secondo romanzo, che si intitola Alborán.
Emiliano Poddi è uno dei docenti della Scuola Holden San Marino. Con lui parliamo di scrittura, e di memoria.
La Scuola Holden San Marino è arrivata al suo quarto anno di corso. Che humus ha odorato?
“Le persone che hanno frequentato la Scuola Holden sono appassionate di scrittura. Tra il primo anno e l’ultimo c’è stato un certo, naturale ricambio. Nelle prime edizioni abbiamo affrontato il tema del recupero della memoria, mentre quest’anno il ‘tema’ è più libero. Curiosamente però il topos della memoria è uscito ugualmente. Una memoria che riguarda San Marino e le zone limitrofe”.
Una memoria che si fa ricordo, e vicinanza con il dialetto, forse l’ultimo veicolo identitario con il passato…
“Non so se sia l’ultimo, però è vero che nella lingua italiana il dialetto porta con sé e in sé un forte legame con la terra. Nella lingua parlata, spesso, si possono ritrovare ragnatele di identità”.
Su San Marino Fixing stiamo ospitando tre racconti della Scuola Holden San Marino. Con quali criteri li avete scelti?
“Li abbiamo ritenuti belli. Un criterio, come dire, ‘appassionato’. Sono tre racconti rappresentativi, molto diversi tra loro. ‘Il cacciavite’ di Erika Agatiello ha un sapore solo apparentemente locale. Al centro troviamo la figura del ‘matto’. Poi, come accade anche nelle letteratura russa, si scopre che questo personaggio ha tratti quasi religiosi”.
Un ‘matto’ che poi attraversa molta letteratura. Si pensi al ‘matto’ di Spoon River di Edgar Lee Masters, poi musicato da Fabrizio De André.
“Il bello delle storie locali è che spesso hanno il respiro universale. Racconti nati da un piccolo territorio come quello di San Marino, sanno avvicinarsi a letterature anche molto distanti”.
Su questo numero di San Marino Fixing, “La Giuditta di Canelli”.
“E’ un racconto che ha il passo della favola. Possiede il concetto di rapidità così ben descritto nelle ‘Lezioni americane’ da Italo Calvino”.
Poi, “Il Biltmore Hotel”.
“Il testo di Serafina Bruschi parla dell’emigrazione, e crea un ponte tra San Marino e gli Stati Uniti d’America. Qui l’emigrazione viene vista come recupero delle proprie origini”.