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Diario della crisi del 2 agosto 2013

da Redazione

E’ sempre un problema di aeroporti. Sia per il “Rimini – Repubblica di San Marino” che per il resto degli scali italiani. La Skytrax britannica da quattordici anni pubblica, ogni dodici mesi, il risultato delle sue ricerche, assegnando le stelle agli aeroporti come si fa con gli alberghi.

 

di Saverio Mercadante

 

E’ sempre un problema di aeroporti. Sia per il “Rimini – Repubblica di San Marino” che per il resto degli scali italiani.

La Skytrax britannica da quattordici anni pubblica, ogni dodici mesi, il risultato delle sue ricerche, assegnando le stelle agli aeroporti come si fa con gli alberghi. La classifica 2013, che discende da un sondaggio sulle opinioni di dodici milioni di passeggeri che hanno frequentato 395 aeroporti mostra ancora una volta la supremazia degli aeroporti asiatici: primo il Changi di Singapore, secondo classificato, l’Incheon International di Seoul, medaglia di bronzo a Schipol, l’aeroporto di Amsterdam, al quarto posto lo scalo di Hong Kong.

Nella classifica da cento aeroporti, nessuna presenza italiana: negli anni passati era garantita da Roma Fiumicino e Milano Malpensa, ora spariti. Un bel biglietto da visita per l’Expo Milano 2015. Volano anche all’estero le imprese italiane. Nei primi cinque anni della Grande Crisi, dal 2009 ad oggi sono state acquisite da imprenditori, fondi d’investimento, fondi sovrani, 363 aziende italiane per un controvalore di circa 47 miliardi di euro. Lo studio realizzato dalla società di revisione Kmpg per il Corriere della Sera indica come il picco si sia avuto nel 2011: sono state 109 le operazioni sul mercato italiano, mentre nei primi sei mesi del 2013 si è in linea con gli anni precedenti (42 acquisizioni per un ammontare di 4,1 miliardi di euro) nonostante “la dura recessione economica”. Sono tornati a non volare gli USA, secondo Lakshman Achuthan, tra i più noti economisti contrarian, capo dell’Economic Cycle Research Institute (ECRI). Ha detto alla multinazionale nel settore dei media, Bloomberg: “Da metà 2012, gli Stati Uniti sono entrati in recessione”. Una prova per tutte: dall’inizio della cosiddetta ripresa sono circa un milione gli americani tra 35-54 anni che hanno perso quasi un milione di posti di lavoro: la fascia che produce e spende di più.

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