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San Marino Fixing, editoriale. Le tre gambe del rilancio

da Redazione

La riforma fiscale resterà comunque incompleta fino a quando non si introdurrà anche l’annunciata riforma delle imposte indirette, ovvero il passaggio dalla Monofase all’IVA.

 

di Loris Pironi

 

Se non si vuole dover essere costretti a ricorrere a sedute spiritiche per “evocare” l’economia di San Marino, non in un futuro lontano ma nell’arco di due o tre anni al massimo, si dovrà fare in modo di poggiare il progetto di sviluppo del Paese su un tavolo a tre gambe. E i tre pilastri che devono sostenere il sistema sono, nello specifico, una profonda trasformazione delle dinamiche fiscali, tagli assai profondi agli sprechi nella spesa pubblica e infine un impianto efficace di norme, infrastrutture e anche di approccio per l’attrazione di nuovi investimenti.

La prima “gamba”, dicevamo, è costituita dalla nuova legge fiscale. La parte iniziale – a cui dedichiamo l’apertura di questo numero di Fixing – ricomincia proprio in questi giorni il suo iter consiliare. Ma la riforma resterà comunque incompleta fino a quando non si introdurrà anche l’annunciata riforma delle imposte indirette, ovvero il passaggio dalla Monofase all’IVA. Intanto ci soffermiamo sul provvedimento che sta partendo, perché dal confronto in Aula, e con le parti sociali, si dovrà giungere a un compromesso di alto livello che porti magari anche a versare più denaro all’erario, ma che faccia pagare tutti in proporzione alle proprie possibilità. I sacrifici si possono chiedere solo in nome di vera equità. E poi è sin troppo comodo recuperare risorse dai lavoratori dipendenti, ma una riforma che punta sulla via facile non è una vera riforma e non può garantire un sistema sostenibile negli anni. San Marino è San Marino anche per la sua fiscalità leggera. Ci piace pensare che possa rimanere così anche in futuro, e che continui ad avere un occhio di riguardo per i redditi più bassi, dunque l’unico modo è quello di allargare la base imponibile. Non diciamo niente di clamoroso, ma oggi più che mai è il caso di sgombrare il campo da ogni possibile equivoco. Piuttosto, commisurandolo con gli aspetti fiscali sarebbe anche il caso di aprire un ragionamento sull’etica del welfare sammarinese, ma qui temiamo di precorrere un po’ troppo i tempi, perché non crediamo che la politica sia pronta ad alzare così tanto l’asticella dei ragionamenti.

Ma non divaghiamo. C’è la seconda “gamba” da prendere in esame. E deve essere una gamba snella e ben tornita perché tagliare gli sprechi – e ce ne sono, ce li ha sbattuti in faccia senza troppo riguardo la relazione della spending review – è forse l’unica possibilità di intervenire senza deprimere l’economia. I dati scaturiti dall’ultima riunione della Commissione Finanze sono drammatici, per il disavanzo 2013 dei conti pubblici (oltre 30 milioni, ma Fixing questo dato l’aveva già anticipato alcune settimane or sono) e per i problemi di liquidità avanzati (non poteva essere più drammatico il messaggio rilanciato da tutti i media: si rischia di non avere i soldi per pagare stipendi pubblici e pensioni a fine anno). Ora, puntare solo su nuove tasse – a partire dalla patrimoniale, iniqua e depressiva – non è neppure sufficiente a colmare il gap, figuriamoci se può essere considerato un mezzo di ampio respiro. Dall’Italia non si può sempre e solo copiare il peggio. Per questo motivo senza la terza “gamba”, ovvero una nuova competitività dell’intera economia, il nostro piano d’appoggio non sta in piedi, e si rischia rapidamente di scivolare nell’oblio. Ma la competitività non si costruisce “per legge”. Gli strumenti normativi (ad esempio la nuova legge sugli incentivi, ma anche la riforma del mercato del lavoro per la quale è iniziato il confronto) sono solo una parte del meccanismo che si deve innescare. Occorre dar vita a provvedimenti virtuosi, occorre valorizzare le imprese sopravvissute malgrado la crisi, contribuire a creare nuova cultura d’impresa (noi di Fixing, nel nostro piccolo, ci stiamo provando). Occorre superare le barriere burocratiche e soprattutto quelle mentali. Sull’attrazione degli investimenti – lo dimostra il bassissimo livello del dibattito pubblico che si è innescato nei rari casi in cui le circostanze hanno portato la questione alla ribalta – San Marino è un Paese ancora drammaticamente acerbo. Ma anche in questo caso non ce la si può prendere solo con la politica: sarebbe troppo facile e soprattutto ci porterebbe fuori strada, perché la responsabilità in questo caso va spalmata sull’intero Paese, comuni cittadini compresi.

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