Giancarlo De Cataldo: “Essa può spingere in secondo piano la percezione di chi entra e di chi esce le sregolatezze edilizie vicine. Può contribuire a cancellare la banalità architettonica circostante”.
di Saverio Mercadante
E’ quasi come il tracciato di una freccia, la Superstrada, che un balestriere immaginario ha lanciato verso il mare, ben piantato, lì sul confine. Verso l’Adriatico. Alcuni affermano che nei secoli passati la Repubblica di San Marino abbia rifiutato la possibilità di avere un accesso al mare. E questo sembra essere stato decisivo per mantenere la sua indipendenza. Da quel mare perduto, eppure sempre così presente dal Monte, dalle balconate di Murata e di Borgo, da quella presunta aspirazione a solcare il mare partendo da un porto sammarinese, sembra discendere il progetto di Giancarlo De Carlo per la costruzione della Porta di Dogana: faceva parte di un progetto che prevedeva anche le porte di confine di Gualdicciolo, Cervaiola, Faetano e Chiesanuova.
Era il 1993 quando la Repubblica di San Marino commissionò all’architetto De Carlo il progetto di una porta di confine da collocare nell’area di Dogana. Nel 1996 è stata costruita e inaugurata con una grande festa popolare. Dunque, sul mare galleggia il progetto di una porta-nave che divide il territorio sammarinese da quello italiano: taglia in due la pianura che si arrende subito dopo alle prime colline sammarinesi. Un pennone alto quasi trenta metri sul quale sventola una bandiera della Repubblica si innalza nel cielo quasi come una torre. Sembra essere la quarta torre del Titano e ricorda nel suo svilupparsi sinuoso verso l’alto in effetti un altro progetto di De Carlo per la costruzione di una torre per la città di Siena. La sua struttura sostiene l’architrave della porta che scavalca la Superstrada con un sovrappasso pedonale di circa 20,70 metri per un’altezza massima di 5,80 metri ed una larghezza che varia da 1,30 a 2,40 metri. La passerella si restringe a punta come uno scafo e comunica una sensazione di leggerezza come un pontile.
Il mare, l’idea di una nave vengono in qualche modo in qualche modo rievocati anche nei materiali: l’acciaio verniciato di bianco per la struttura e legno di aframosia per il camminamento, le scale a elica che si avvinghiano al pilone, gli stralli, le vele che fiancheggiano la passerella. Le strutture metalliche danno l’impressione che siano tese come sartie. Quattro occhi multicolori, disegnati e realizzati insieme alla figlia di De Carlo, Anna, illustratrice e pittrice, sono incastrati nelle strutture trasversali di irrigidimento, polene che si illuminano per trasparenza forse suggerite dalla personale passione per il mare di De Carlo.
Il gesto architettonico di De Carlo fu certamente un lampo di bellezza, anche se non del tutto convincente, e di rottura che in qualche modo intendeva assorbire il degrado urbano degli edifici circostanti. E nelle intenzioni dell’architetto vi era in origine il recupero dell’area intorno alla porta. In un primo studio si puntava a riorganizzare il settore a sud al margine di un parco già esistente che si sarebbe dovuto allargare lungo il fiume Ausa e a ristrutturare il settore a nord intervenendo su due piazze già esistenti e costruendone una nuova. Si doveva così creare un percorso pedonale parallelo alla Superstrada visivamente e acusticamente protetto. Ma vinse ancora l’edilizia che non si misura con la buona urbanizzazione: la costruzione invasiva di alcuni grossi edifici ridimensionarono il progetto. Scrive De Carlo nella sua presentazione del progetto: “Il paesaggio edificato circostante è fitto e sregolato, molti corpulenti edifici sono allineati o sono perpendicolari alla strada offrendo un impudico paesaggio di trasandati retri. Al necessario processo di riabilitazione dell’area di Dogana anche la porta collaborerà: perché è ben visibile e quindi può spingere in secondo piano, nella percezione di chi entra e chi esce, le sregolatezze edilizie che le stanno intorno. La sua presenza eloquente può contribuire a cancellare la banalità architettonica circostante”.
Abbastanza critica però l’opinione di Leo Marino Morganti, architetto, storico e saggista sammarinese, sul lavoro di De Carlo: “Tra tutte le porte progettate da De Carlo quella di Dogana è a mio avviso quella più pesante, più ‘retorica’. Anche il riferimento al mare non è molto convincente, non è così preponderante in relazione all’accesso, al rapporto con il confine. Da sammarinese credo che forse potevano essere lanciati altri messaggi. Ci sono anche degli errori strutturali e da un punto di vista della comunicazione la scritta sulla porta, sembra davvero posticcia, appiccicata, non è assolutamente integrata con la struttura. Certo che a paragone degli edifici che sono in quella zona la porta di De Carlo è ‘il male minore’, se così si può dire. E va detto che il progetto originale di De Carlo per la riqualificazione di tutta la zona di confine rovinata dalla speculazione edilizia, era ottimo. Purtroppo è saltato”. Resta il fatto che in tutti i tempi e in tutte le culture il confine è un luogo mentale di straordinaria potenza evocativa e San Marino poteva fare di più e meglio per renderlo altamente simbolico a chi entra nell’Antica Terra della Libertà.