La balena statale non è più sostenibile. C’è però il problema degli stipendi. Il settore pubblico difende lo status quo, ma il welfare è al collasso.
di Alessandro Carli
Privatizzare o non privatizzare? Il refrain rimbalza e riecheggia ormai da tempo anche sul Titano. La notizia che riguarda la gestione della casa di riposo Casale la Fiorina – si chiede che da privata diventi pubblica – ci dà lo spunto per riflettere sul delicato argomento. Certo, in un periodo in cui si parla di privatizzazioni, statalizzare una struttura privata sembra quasi anacronistico (e sicuramente oneroso). Senza dimenticare che difficilmente si avrà un innalzamento della qualità: si tratterebbe semplicemente di un ulteriore costo da addebitare a mamma-Stato, che verrà spalmato sulle collettività. Di fatto però, ci permette di fare un’analisi sulle differenze tra il pubblico e il privato. Analisi, questa, che ha rappresentato anche uno dei passaggi-chiave della relazione del Presidente ANIS, Emanuel Colombini, all’assemblea ordinaria di giugno.
I lavoratori
Ad oggi, come è stato ben spiegato durante l’assemblea degli Industriali, esistono di fatto lavoratori di serie A (gli addetto al settore pubblico) e lavoratori di serie B (gli impiegati nel privato). Impossibile pensare a una rete capillare di privatizzazioni finché la forbice delle retribuzioni medie vede un gap di circa 25 punti percentuali. L’Ufficio Statistica difatti, per l’anno 2012, ha spinto gli stipendi del settore pubblico sino a quasi 32 mila euro. Di contro, quelli del privato si aggirano attorno ai 26 mila euro. Senza poi considerare altri, importantissimi parametri, come ad esempio la sicurezza del posto del lavoro. Il pubblico, al massimo, viene spostato in un altro ente statale: nessun pericolo di pendolarizzazione, visto che parliamo di una superficie, quella della Repubblica, di circa 60 chilometri quadrati. Il lavoratore privato invece, in caso di crisi dei mercati, può perdere il posto di lavoro, o accedere agli ammortizzatori sociali. Appare del tutto chiaro quindi che il lavoratore pubblico abbia tutto l’interesse a difendere lo status quo raggiunto. Se si vuole pensare a una privatizzazione di alcuni enti pubblici – che vanno chiaramente individuati -, il primo passo da compiere è quello di ridurre questa forbice salariale, che si sta lentamente e costantemente allargando. Viene da sé che un quarto di stipendio sia un privilegio da tenere sempre in considerazione. Parificando le buste paga, per quanto possibile, si potrebbe iniziare a riflettere seriamente sulle privatizzazioni.
La privatizzazioni
Oggi il sistema di welfare sammarinese non è più sostenibile. Privatizzare non significa abbassare la qualità dei servizi: basta che vengano messi in campo alcune sentinelle, alcuni indicatori di qualità che certifichino il lavoro svolto. E’ forse più un fatto culturale: si ha la pretesa –antico retaggio storico – che lo Stato sia dappertutto. Le privatizzazioni non possono continuare a essere un tabù nella Repubblica. “Paghiamo un ritardo culturale importante, che nasconde un vecchio modo di fare politica – ha spiegato all’assemblea il presidente ANIS, Emanuel Colombini – che dobbiamo superare. Invece in questi ultimi mesi sentiamo sempre più spesso riproporre ipotesi e proposte anacronistiche di ampliamento dei servizi pubblici anche nei settori tipicamente privati”.
Serve una seria riorganizzazione dei servizi dello Stato che abbia l’obiettivo di aumentarne l’efficienza e ridurne sensibilmente il costo. Sul Monte ci sono molti servizi “non strategici” che già oggi potrebbero essere posti a mercato, a partire dalla gestione dei rifiuti. Perché le privatizzazioni – e questo è un passaggio-chiave – non devono essere viste come una perdita della certezza del posto di lavoro, ma come un’occasione per generare nuove imprenditorialità e nuova occupazione. I soldi pubblici sono terminati. Lo diciamo da mesi su San Marino Fixing, lo confermano gli Industriali e i dati. C’è bisogno di liberare risorse da destinare allo sviluppo, ma finché la macchina pubblica continua ad essere elefantiaca, è difficile pensare a un progetto che ridia slancio al Titano.
Il privato
Il giornalista Antonio Caprarica in occasione della presentazione del suo libro, “Ci vorrebbe una Thatcher”, all’interno della Fondazione San Marino, ha fotografato il sistema britannico. Caprarica, parlando di Londra, si è soffermato sull’importanza delle privatizzazioni. Nel Regno Unito gas, elettricità e trasporti sono privatizzati. “Il privato investe per fare profitti, e ha tutto l’interesse che le cose funzionino” ha rimarcato con forza Caprarica.
E’ uno scarto culturale. La balena statale biancazzurra non è più sostenibile.