Home FixingFixing Diario della crisi del 5 luglio 2013

Diario della crisi del 5 luglio 2013

da Redazione

Un’altra forma di impunità l’ha segnalata il Wall Street Journal. Negli ultimi anni la disponibilità di manodopera a basso costo ha reso il Bangladesh il secondo produttore di indumenti al mondo dopo la Cina.

 

di Saverio Mercadante

 

L’Egitto è nel caos, il petrolio è subito schizzato al rialzo: nell’after hours di martedì scorso i contratti scambiati sulla piattaforma West Texas Intermediate (WTI) americana sono saliti a 100 dollari al barile, superando questa soglia per la prima volta da settembre, spingendosi fino al record di 102 dollari. Ma quello che lascia ancora una volta basiti nella degenerazione della defunta primavera araba è quella che ormai dalle organizzazioni internazionali viene chiamata “la cultura dell’impunità”.

Quasi un centinaio di aggressioni sessuali si sono verificate al Cairo, in piazza Tahrir e dintorni, nei giorni delle massicce proteste contro il presidente Mohammed Morsi. Lo riferisce l’Ong internazionale Human Rights Watch (HRW).

In un report l’Organizzazione parla di almeno 91 casi di aggressione dal 28 giugno, alcuni dei quali finiti in stupro, sulla base di informazioni raccolte dalle associazioni locali che lottano contro questo fenomeno ormai ricorrente nel paese durante le manifestazioni. Cinque aggressioni si sono verificate il 28 Giugno, ben 46 domenica 30 giugno, giorno di massicce manifestazioni, e ancora 17 il primo luglio, e 23 il 2 luglio.

Un’altra forma di impunità l’ha segnalata il Wall Street Journal. Negli ultimi anni la disponibilità di manodopera a basso costo ha reso il Bangladesh il secondo produttore di indumenti al mondo dopo la Cina: con un mercato da venti miliardi di dollari all’anno. Ma manodopera a basso costo significa anche terribili condizioni di lavoro e sicurezza a rischio: l’ultimo e il più noto è avvenuto a Dacca lo scorso 24 aprile, quando nel crollo di un edificio che ospitava cinque laboratori tessili sono morte oltre mille persone. Il Bangladesh non produce però soltanto indumenti per le marche cosiddette “low cost” (H&M, Zara, Walmart, per esempio) ma anche per molti marchi di stilisti importanti come Ralph Lauren, Hugo Boss e Giorgio Armani.

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