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FMI rinnega se stesso. Squinzi rinnega Monti

da Redazione

Il Fondo Monetario fa il mea culpa sulle misure eccessive imposte in Grecia. Confindustria: austerità che ha compromesso il mercato interno.


di Saverio Mercadante

 

Fine a se stessa. Se anche Giorgio Squinzi, il presidente della Confindustria afferma che il governo Monti ha compromesso il mercato interno attenendosi ai dettami di “una austerità fine a se stessa”, vuol proprio dire che i bocconiani, i fautori di un’economia neo classica, come li chiama con disprezzo malcelato l’economista Giulio Sapelli, intervenuto anche a San Marino durante gli incontri organizzati dalla Fondazione San Marino, i paladini dell’iperigorismo sempre e comunque, sono veramente nell’occhio del ciclone per deficit di credibilità. Sembra riecheggiare da lontano nel tono definitivo l’invettiva di Gianni Agnelli nei confronti di Ciriaco De Mita quando l’apostrofò chiamandolo con regale sufficienza “intellettuale della Magna Grecia”. Il mitico Giulio Sapelli fa di peggio con Supermario Monti: lo definisce con raffinata cattiveria “giornalista economico”, ahinoi.

“Accettando la vulgata monetarista – ha detto Squinzi – abbiamo finito con compromettere il mercato interno, attenendoci ai dettami di un’austerità fine a stessa e accettando di ridurre il rapporto debito/Pil asetticamente, senza una logica economica che accompagnasse questa scelta”. Squinzi ricorda quasi con rabbia il fallimento di questo tentativo: quando si è insediato il governo Monti il rapporto debito/Pil era al 117, adesso siamo a 127 e le proiezioni di quest’anno si arriverà almeno al 132”.

E’ un fiume in piena il presidente della Confindustria, forse perché alle sue orecchie sono arrivate le battute di Luigi Bisignani, il lobbista faccendiere cresciuto all’ombra di Andreotti che in questi giorni è su tutte le pagine dei giornali per l’uscita del suo libro “L’uomo che sussurrava ai potenti”, miniera velenosa di retroscena: non sono più i tempi della presidenza Montezemolo, ha affermato senza mezzi termini che oggi come oggi Confindustria non conta niente.

“Se il rigorismo e l’austerità – afferma ancora Squinzi – mettono in ginocchio la tenuta sociale e il patrimonio delle nostre imprese costruito in decenni e generazioni di duro lavoro affinché altri possano fare shopping portandosi a casa i nostri pezzi migliori a prezzi di saldo, la soluzione si trasforma in problema e dobbiamo dire di no”. E in uno scatto anti UE se la piglia anche a muso duro con la rigidità assoluta della barriera al 3% del deficit/Pil, “un limite che a oggi non si può sforare”.

Ma contro la rigidità suicida dell’UE e della Banca Centrale a impronta fortemente, troppo alemanna, arriva addirittura anche il mea culpa del Fondo Monetario Internazionale. E’ veramente una crisi sistemica allora, niente sarà veramente come prima. E’ peggio del ’29 ha detto addirittura il ministro dell’economia Saccomanni.

Il Wall Street Journal nei giorni scorsi ha anticipato i contenuti di un rapporto “strettamente confidenziale” in cui l’istituto di Washington con una certa onestà intellettuale, rara tra gli economisti, ammette di avere sottovalutato i danni delle misure di austerità prescritte nel piano di salvataggio concesso alla Grecia nel 2010 insieme alla Commissione Europea e alla Banca centrale europea. Ricordiamo che il solo Fondo ha sborsato 47 miliardi di dollari, il più grande prestito che il Fmi abbia mai fatto in base alle dimensioni dell’economia di un Paese. Quello che è anche interessante è ancora il retroscena che s’intravvede nei rapporti della famigerata Troika: c’era una evidente spaccatura sull’asse Washington-Bruxelles, nel salvataggio. L’organizzazione di Washington ha riconosciuto la evidente sottovalutazione delle conseguenze del rigore subito da Atene e criticato la Commissione europea per la gestione ritenuta non adeguata del caso Grecia. La Ue, afferma addirittura nel rapporto, secondo quanto riportato dal quotidiano finanziario americano, “non aveva esperienza” nella crisi del debito, e ha finito per “focalizzarsi sul rispetto delle norme, più che sulla crescita”. Insomma, nella Troika, non c’era identità di vedute. Secondo il FMI “non era in grado di contribuire nell’identificazione di riforme strutturali volte a sostenere l’espansione” economica.

Il FMI, in sovrappiù, aveva in prima battuta stimato che il Pil della Grecia sarebbe calato del 5,5% tra il 2009 e il 2012. La flessione è stata invece del 17%. Il piano di salvataggio prevedeva un tasso di disoccupazione al 15%. E’ stato del 25%. Il Fondo non risparmia critiche anche al governo greco: non è stato in grado di portare avanti riforme strutturali per il sostegno del settore privato. E i sacrifici sono stati “spalmati in modo non equo nella società”. Nel 2010, ricordiamo che Il Fondo con la Commissione europea e Banca centrale europea nel 2010 formarono appunto la cosiddetta Troika per la gestione del primo salvataggio greco nel 2010 da 110 miliardi di euro. Il secondo nel 2012.

Ma i vertici del FMI sapevano fin dall’inizio che gli spaventosi parametri economici di Atene non consentivano un suo soccorso di Atene. Ma hanno girato la testa dall’altra parte affermando in pubblico che il debito del paese era sostenibile.

L’intera operazione, è scritto nel documento, “è stata fatta per prendere tempo e consentire all’area euro di costruire le difese necessarie per salvare gli altri paesi che rischiavano di essere travolti dall’effetto contagio della crisi dei debiti sovrani”.

Il Fondo ammette nel suo documento che bastava tagliare subito il debito di Atene: più veloce e meno pesante sarebbe stato il salvataggio. Ma non si poteva tagliare il debito. La contraerea rigorista tedesca lo rendeva politicamente inaccettabile. In questo modo Atene ha pagato per due anni il 100% dei suoi interessi a banche e fondi speculativi. E oggi si trova con l’esposizione allo stesso livello ma solo verso FMI, Bce e paesi sovrani. Il salvataggio della Grecia è costato finora 230 miliardi di prestiti. La collaborazione con l’Ue è stato un mezzo disastro come la valutazione delle ricette degli uffici studi degli economisti compresi gli errori per valutare gli effetti dell’austerity.

La Commissione europea fa spallucce nascondendo una profonda irritazione. Il rapporto di Washington, arrivato nel pieno dell’onda revisionista partita con la contestazione dello studio Reinhart-Rogoff sui benefici dell’austerità e sulla presunta insostenibilità dei debiti pubblici oltre il 90% del Pil, di cui Fixing ha scritto nelle settimane scorse, ha scosso i nervi a Bruxelles.

Il portavoce Simon O’Connor ricaccia in gola al FMI le sue allusioni su presunte spaccature: tutte le scelte fatte ”sono state condivise da tutte le istituzioni” della Troika, quindi anche dal FMI. Poi ricorda che è stato raggiunto l’obiettivo primario di ”mantenere la Grecia nell’Eurozona”. E la Ue, dice, ”dissente radicalmente” sull’idea che la Grecia dovesse ristrutturare il debito già nel 2010.

”Fosse stato fatto in quella fase, avrebbe certamente fatto rischiare un contagio sistemico”. Mario Draghi da Francoforte ha concesso che ”se il report individua delle ragioni dietro gli errori, dovremo tenerne conto in futuro” ma suggerisce pure che dietro certe marce indietro “di solito c’è un errore di prospettiva storica, si giudicano cose di ieri con gli occhi di oggi”.

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