L’obiettivo del summit è arrivare a 100 miliardi di scambi entro il 2015. La politica della “seduzione” del Sol Levante per frenare gli USA.
di Saverio Mercadante
In questi giorni ha incontrato anche Angela Merkel. Ma il premier cinese, Li Keqiang, ha scelto l’India come primo Paese a cui far visita dopo la sua designazione in marzo. I “grandi gemelli diversi” hanno firmato un accordo che sembra la prima tappa di un percorso comune che mette in allarme non poco l’altro gigante, storico alleato dell’India, gli Stati Uniti. L’accordo messo a punto nei giorni scorsi, non nascondendo i problemi esistenti e importanti tra i due Paesi, sceglie la strada di un sana realpolitik che si fonda su un rafforzamento del dialogo e della cooperazione bilaterale in tutti i campi. Sono enormi le potenzialità di un asse Pechino-Delhi: riuniscono il 40% della popolazione mondiale. E’ evidente ai leader dei due paesi che vi sono ben più interessi comuni che differenze, come hanno esplicitamente sottolineato. Con la convinzione reciproca che senza uno sviluppo comune di Cina e India l’Asia non diventerà più forte e il mondo non diventerà un posto migliore.
Ad oggi il volume degli scambi tra Pechino e New Delhi ammonta a circa 67 miliardi di dollari nel 2012: la Cina è diventata il primo partner commerciale dell’India.
L’obiettivo dell’accordo è arrivare a quota 100 miliardi entro il 2015. Resta sul piatto l’innegabile maggiore forza dell’economia cinese rispetto all’India. Il deficit commerciale nei confronti di Pechino è motivo di preoccupazione per il governo indiano. Le esportazioni indiane verso la Cina nell’ultimo anno hanno raggiunto i 13,52 miliardi di dollari. Le esportazione del Dragone in India si sono fermate a 54,3 miliardi. Il premier cinese ha assicurato che Pechino intende proporre negoziati per un accordo di commercio regionale indo-cinese che comprenda facilitazioni affinché i prodotti indiani, soprattutto i servizi possano entrare nei mercati cinesi. Sono stati comunque siglati accordi per aumentare l’accesso dell’India al mercato farmaceutico cinese e per promuovere il commercio di prodotti ittici e delle carni. Gli impegni di entrambi i giganti asiatici arrivano in un momento di grande rallentamento delle rispettive economie, complice la recessione a livello globale.
Ma non vi è dubbio che le due economie sembrano fatte apposte per una convivenza che può rivelarsi esplosiva: l’hardware cinese e il software indiano, prodotti e manufatti, in cambio di servizi. Avere un ruolo ancora più preminente nel mercato indiano per la Cina vuol dire mettere anche un freno alla recente politica espansionistica degli Stati Uniti in Estremo Oriente. Insieme all’UE, Washington sta lavorando a negoziati per un accordo di libero scambio. Obama nell’area dell’Asia-Pacifico sta creando una griglia di rapporti commerciali attraverso la Tpp (Trans Pacific Partnership): un accordo che prevede l’abbassamento delle tariffe doganali e la costruzione di quella che con quasi 800 milioni di consumatori e il 40% circa dell’economia globale diventerà la più grande zona di libero scambio del mondo. La Cina, da par suo, punta sulla costruzione di una struttura commerciale “trilaterale” con Giappone e Corea del Sud. E non è escluso che a sua volta anche l’India ne faccia parte
Pechino e Nuova Delhi cooperano inoltre come membri dei Brics, l’acronimo che sta a indicare le nuove economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, attualmente impegnati nella costruzione di una nuova Banca di sviluppo globale.
“E’ nell’interesse di Pechino che l’India non si avvicini troppo agli Stati Uniti, che dal canto loro cercano di portare il Paese sotto il loro raggio d’azione per contrastare la Cina” sostiene Mohan Guruswamy, presidente del Centro di politiche alternative, think-tank di Nuova Delhi. Che i due Giganti asiatici vogliano appianare i contrasti lo sostiene anche il professore Wang Dehua dell’Istituto per gli Studi Internazionali di Shanghai, sempre secondo AgiChina24: “Alla luce della modernizzazione militare della Cina, sta crescendo un sentimento condiviso da entrambi i Paesi secondo cui un giorno tra i due scoppierà una guerra”. E se Pechino non guarda di buon occhio i rapporti indo-statunitensi, “l’India – sostiene ancora Wang – è allergica alla relazione tra Cina e Pakistan”.
“La pace nel mondo non può diventare una realtà senza la fiducia reciproca di India e Cina” ha commentato il premier cinese Li Keqiang, che ha aggiunto che lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi “sarà una benedizione per l’Asia e il mondo”.
Non a caso qualche settimana fa le due nazioni hanno avviato il ritiro delle proprie truppe da un’area contesa della regione himalayana dopo aver raggiunto un accordo per allentare le tensioni seguite a uno sconfinamento dei militari di Pechino. L’intesa tra i comandanti delle Guardie di frontiera dei due Paesi è arrivata a più di tre settimane dall’incursione e dall’accampamento dei soldati cinesi in una zona della regione del Ladakh, su cui New Delhi sostiene di avere la sovranità. Si tratta di una zona in un territorio aspro e senza controlli, lungo la frontiera di 4mila chilometri che si snoda tra il Karakorum e l’Himalaya. Era importante non distruggere anni di progressi nei rapporti tra i due giganti asiatici: nel 1962 avevano combattuto una sanguinosa guerra proprio nelle zone himalayane e lungo la frontiera ad est del Nepal.
L’accordo della settimana scorsa tra il Dragone e l’Elefante nel dettaglio prevede otto punti d’intesa che vanno dalla soluzione dei problemi di confine all’utilizzo delle acque, dagli scambi di prodotti agricoli al trattamento dei rifiuti, la collaborazione economica tra città e regioni e perfino nuove regole per i pellegrinaggi sul Kailash, la montagna sacra del Tibet. Evitato ogni riferimento al Dalai Lama: è ospitato dall’India da quando, nel ‘59, è scappato dal Tibet occupato. Si legge nell’accordo: “Le due parti non consentiranno che i loro territori siano utilizzati per attività nocive all’altro”, ma “i due Paesi mantengono il diritto di scegliere la propria via per lo sviluppo politico, sociale ed economico in cui i diritti umani fondamentali hanno la posizione a loro dovuta”.
La strategia cinese della seduzione, come è stata chiamata, ha richiesto anche una scelta molto significativa. Nel primo tour del premier cinese, il Pakistan, è stato visitato dopo Delhi, nemico storico del paese confinante, come accennavamo, di cui Pechino è storico alleato. A New Delhi oltre che di forniture di armi, l’India è divenuta il più grosso acquirente mondiale, si è parlato anche della proposta cinese di un accordo per la cooperazione di difesa e del futuro dell’Afghanistan dopo il ritiro delle truppe internazionali nel 2014.
Altro tema centrale del summit cino-indiano, la questione dell’acqua, ovvero la sua penuria in entrambi i Paesi. Specialmente in India, ogni anno intere regioni dell’India vengono colpite dalla siccità. La Cina ha promesso di inviare quotidiane informazioni all’India sul livello delle acque nel fiume Brahmaputra. Nasce in Tibet dove è chiamato Yarlung Zangpo e irriga le regioni nordorientali dell’India. Sarà a breve parzialmente bloccato da tre nuove dighe in costruzione dal lato cinese. I grandi fiumi che irrigano i due paesi nascono tutti nello stesso territorio, l’Himalaya. Cambiamento ambientale e scioglimento dei ghiacciai, potrebbero influenzare pesantemente la portata del flusso delle acque di quei fiumi. Le dispute territoriali, tutte in aree vicine all’Himalaya, nascondono una posta in gioco molto concreta su cui si gioca il futuro di decine di milioni di persone.
L’India avrebbe voluto molto di più da questo incontro: una commissione sull’acqua fra India e Cina, ma l’intesa minima raggiunta è pur sempre un passo verso la distensione e una maggiore cooperazione fra i due partner.