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Minijob e dumping sociale: la scorciatoia tedesca

da Redazione

450 euro al mese, il Belgio accusa la Germania di sfruttamento e concorrenza sleale. Sono 7,4 milioni i contratti per i cosiddetti lavori scarsamente remunerati introdotti nel 2003.

 

di Saverio Mercadante

 

Il paradosso del minijob. E’ il “nuovo” teorema tedesco che da qualche mese fa discutere l’Europa e che ha spinto il Belgio a rivolgersi alla Commissione Europea accusando la Germania addirittura di dumping sociale. Tradotto con il suo vero nome e cognome, concorrenza sleale. Che vuol dire, già lo accennavamo nei due articoli precedenti dedicati alle politiche rigoriste e alle loro conseguenze, pauperizzazione del lavoro. Qualche analista economico ha coniato anche un’altra espressione: cinesizzazione europea.

I minijob, introdotti nel 2003 dal governo dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, un altro paradosso ideologico, è un cosiddetto lavoro scarsamente remunerato, una geringfügige Beschäftigung.

Dopo dieci anni infatti le maggiori perplessità e critiche sui minijob arrivano proprio dalla socialdemocrazia tedesca. Il paradosso minijob è il seguente: non può essere considerato un lavoratore chi percepisce un salario di uno o pochi euro all’ora e poi è costretto a richiedere il sussidio di disoccupazione per sopravvivere.

Infatti, questo tipo di contratto prevedeva una remunerazione massima di 400 euro (ora 450, come vedremo più avanti) tanto è vero che in tedesco è chiamato anche “400-Euro Job”. E’ la faccia nascosta del successo occupazionale tedesco che coinvolge, secondo uno studio realizzato dall’Istituto per la ricerca sul mercato del lavoro, lo Iab di Norimberga, circa 7,4 milioni e mezzo di tedeschi. In questa contrattualistica non si prevede il pagamento di tasse e permette ai lavoratori di vivere parzialmente con gli aiuti statali.

E’ un tipo di rapporto lavorativo che quasi mai si evolve in una normalizzazione del rapporto di lavoro, come ha affermato la stessa agenzia federale del lavoro. Oggi, dunque, un lavoratore su quattro in Germania rientra nella categoria degli “scarsamente retribuiti”.

Degli oltre 7 milioni di persone, per cinque milioni, il minijob costituisce l’unica forma di reddito. I restanti due milioni e passa hanno una seconda occupazione, spesso part-time, per tirar su qualche altro euro.

Come accennavamo, il regime fiscale agevolato per dipendente e, soprattutto per il datore, ha permesso lo spandersi a macchia d’olio dei minijob in tutta la Germania, in particolare nelle grandi città: dalla gastronomia al commercio, dall’edilizia ai lavori domestici, e nel settore turistico. Qui si è avuto un aumento impressionante di personale assunto con questo tipo di contratto: alcuni analisti affermano che ci sia stato un incremento sino al 500%. Sono spesso gli stranieri a lavorare con questo contratto ma anche tanti tedeschi.

Secondo i ricercatori dell’Università di Duisburg-Essen questi lavoratori non hanno gli stessi diritti degli altri: spesso lavorano più ore percependo uno stipendio inferiore, inoltre non hanno ferie e malattie retribuite.

Eppure vi sono categorie sociali a cui un contratto di questo tipo conviene e spesso rappresenta una forma di sostentamento. Gli studenti, a cui il minijob garantisce una minima entrata senza pesare troppo sullo studio e sulle spalle dei propri genitori. O quelli, come si diceva, che vogliono affiancare un “mini lavoro” alla propria principale attività professionale. Per molti addetti ai lavori questo enorme espandersi del minilavoro sta creando una sorta di pericolosa terza via, una sorta di purgatorio tra l’occupazione e la disoccupazione. Incentiverebbe la mancata creazione di posti a tempo pieno, indurrebbe molti lavoratori di mini-job a richiedere sussidi di disoccupazione pesando comunque sulle spalle dello Stato e dei contribuenti. Di fatto, quelli che hanno un mini-job in Germania sono occupati ma allo stesso tempo vivono in condizioni di povertà.

Ed essendo esentati dai contributi sociali producono una mini-pensione, che non basta per sopravvivere, indebolendo ulteriormente il welfare tedesco. D’altro canto, c’è chi sostiene che si sia creata una grande mobilità all’interno del mondo del lavoro tedesco e permesso a molte persone di avere comunque un lavoro.

Il salario di 400 euro è stato, tuttavia, considerato troppo basso dall’opposizione e da molte categorie di lavoratori: il governo democristiano-liberale, guidato da Angela Merkel, ha alzato il tetto retributivo dei mini-job a 450 euro a partire gennaio.

Il meccanismo del doping risiede dunque per molti anche nella statistiche tedesche dell’occupazione. La disoccupazione in Germania nel 2012 è scesa sotto la soglia del 7% e c’è chi all’interno del governo non ha escluso, anche grazie ai mini-job, il raggiungimento della piena occupazione. Eppure, secondo gli analisti, la crisi, nei prossimi anni, creerà sempre più mini-lavori e sempre più poveri. Almeno un tedesco su sette, si calcola, vive in condizioni di povertà. Sono circa 12 milioni di persone. Il cancelliere Angela Merkel è consapevole del problema, non a caso dal 1° gennaio 2012 è entrato in vigore il salario minimo a livello federale: 7,89 euro nei Länder dell’Ovest, 7,01 euro in quelli dell’Est. La povertà è una realtà vera anche in Germania e c’è la necessità assoluta ridurre il numero di coloro che percepiscono sussidi sociali, circa 6 milioni di persone, una voragine che rischia inghiottire le pur importanti risorse finanziarie dello stato-locomotiva d’Europa.

 

Il Belgio accusa la Germania


Il Belgio in marzo ha fatto i suoi passi. E hanno fatto molto rumore. Il dossier è arrivato sul tavolo della Commissione europea. Ha denunciato la Germania di sfruttamento dei lavoratori immigrati, romeni e bulgari in particolare. Sono assunti da società fittizie, lavorano per tre, quattro euro euro l’ora per dieci ore al giorno, privi di sicurezza sociale sicurezza sociale, in condizioni sanitarie indecenti. Con la conseguenza che le imprese belghe del settore della macellazione in particolare sono costrette a chiudere o a delocalizzare. I ministri belgi dell’economia e del lavoro Johan Vande Lanotte e Monica De Coninck, hanno scritto all’esecutivo Ue “per chiedere di mettere fine a queste pratiche”. “Non cerchiamo il confronto con questo Paese, si tratta qui di mettere fine a pratiche indegne”. Non esiste infatti un salario minimo per queste particolari categorie di lavori. La logica del ministro Lanotte è stringente: “Tutto è permesso perché non si infrange nessuna legge dal momento che non ce ne sono”. La Commissione Europea aveva già rivolto a Berlino alcune raccomandazioni in relazione all’aumento dei salari in parallelo con la produttività e l’uscita dei lavoratori dalla “trappola dei mini-lavori” verso impieghi più stabili.

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