“Ogni artista ha un’esigenza che risolve e realizza secondo la propria poetica. La scena italiana è viva”.
di Alessandro Carli
Tutto scorre, e nel tempo cambia, viene smussato, trova una forma. Ascanio Celestini ha scelto la strada dello “studio” – il che significa portare in giro per l’Italia uno spettacolo che sta nascendo, il che significa aprire una porticina piccola su un monologo che vuole capire i suoi punti di forza e di debolezza prima di lasciare quella parola “studio” e diventare una mise en scene compiuta – per mettere a punto “Discorsi alla nazione” e debuttare, qualche settimana fa, sulle assi del teatro Novelli di Rimini. In una delle tante tappe fatte su e giù per lo Stivale – per la precisione a Riccione, qualche mese fa – chi scrive ha potuto vedere il cantiere aperto dello spettacolo. Con l’attore e drammaturgo capitolino partiamo quindi proprio da qui.
Rispetto allo spettacolo portato al Teatro del Mare, cosa è cambiato?
“A Riccione, come a San Marino, avevo portato uno studio in fieri. Quello di Rimini è l’anteprima del nuovo spettacolo. Rispetto allo ‘studio’, alcuni testi sono cambiati, mentre altri sono rimasti invariati. Al centro c’è sempre la figura del tiranno. Anzi: dei tiranni di ieri e di oggi”.
Sono molto diversi?
“Il presente vive nella difficoltà: oggi abbiamo certamente più disordine nella comunicazione, ma allo stesso tempo siamo bombardati da una super informazione. Se nel 1952 gli operai licenziati andavano dal padrone, oggi gli stessi operai non sanno chi è il responsabile della fabbrica e non sanno a chi rivolgersi”.
Tiranni ieri e oggi: viene in mente il Ventennio, ma anche l’attualità…
“Il tiranno non è mai l’espressione di se stesso. Il Ventennio fascista non fu solamente un gruppo di criminali al potere: milioni di italiani erano d’accordo. Ma non fu l’unico caso: pensiamo anche al socialismo realista dell’est, o a Silvio Berlusconi”.
Dove sta andando il teatro oggi?
“Si parla spesso di teatro contemporaneo di ricerca o di non ricerca. Il teatro è molto vivo e poco visibile: gli spazi, negli ultimi 30 anni, sono aumentati. Ogni artista ha un’urgenza che risolve e realizza secondo la propria poetica. Credo ci sia un problema di compagnie: assistiamo a un grande vuoto istituzionale e la maggior parte dei gruppi, quando fa i conti giorno per giorno con il proprio lavoro, si trova in difficoltà”.
Qual è stato lo spettacolo che le ha fatto capire che poteva diventare un artista?
“Sicuramente ‘Radio clandestina’. Già dal 1998 giravo in tournée, ma nel 2000, con questo monologo che ho portato in ogni spazio, ho capito che questa era la mia strada”.
“La pecora nera” è stato uno spettacolo teatrale e un film.
“Il fatto di ridere o piangere è proprio quello che accade anche nei manicomi: la situazione è grottesca perché anche davanti a quella violenza noi rimaniamo allibiti”.
Qualche tempo fa ha portato in scena “Pro Patria”. L’Italia di oggi, dove tanti super ricchi comprano le persone, può definirsi un paese democratico?
“Durante lo spettacolo è citato Carlo Pisacane. Diceva che non basta garantire uguali diritti per tutti. L’uguaglianza dei cittadini passa anche dall’uguaglianza economica. Un paese democratico si può definire tale quando non può verificarsi che uno sia così ricco da potersi comprare un’altra persona”.
Ha nuovi progetti legati al cinema?
“Sto ragionando su un nuovo film. Non sarà tratto da uno spettacolo teatrale, ma si tratterà di qualcosa di nuovo, diverso rispetto ai lavori già fatti”.