Giappone: la più grossa operazione di creazione di liquidità del dopoguerra. Stamperà moneta, comprerà bond, farà crollare il valore dello yen.
di Saverio Mercadante
Un debito pubblico mostruoso, un‘economia in stato di deflazione, è dal 1997 che i prezzi dei beni, fatta eccezione di quelli alimentari, non crescono, possono trovare una soluzione con investimenti pubblici altrettanto mostruosi. E’ il caso del Giappone, ma anche degli USA che hanno scelto di cercare di porre un freno alla crisi nel modo opposto a quello che si sta facendo in Europa. Un calcio alle politiche rigoriste, all’austerity finanziaria e tanti soldi pubblici da immettere nell’economia dei loro paesi.
Mentre nel vecchio continente i vincoli alla Banca Centrale europea sono ancora strettissimi, il Giappone lancia una sorta di bomba di enorme potenza termonetaria inventandosi la più grossa operazione di creazione di liquidità del dopoguerra.
Tokyo si è lanciata in una operazione rischiosa, pompa una ipereccitazione monetaria con l’obiettivo lucidamente dichiarato di “costruire inflazione”.
Stamperà moneta senza limiti, comprerà bond al ritmo di decine e decine miliardi al mese, farà crollare il valore dello yen: uno scandalo al sol levante economico che manda al macero tutti i capisaldi teorici delle banche centrali dagli anni Settanta in poi.
E’ la rivoluzione chiamata japanomics o abenomics dal nome del premier giapponese, Abe. La Banca del Giappone ha raddoppiato il volume degli interventi di allentamento quantitativo: da una parte compra asset interni a basso rendimento liberando risorse che il sistema bancario può utilizzare all’estero, dall’altra partecipa al finanziamento del deficit pubblico destinato ad ulteriori colossali investimenti interni.
Con alleggerimento quantitativo o facilitazione quantitativa si designa una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto nel sistema finanziario ed economico.
In caso di ricorso ad alleggerimento quantitativo, la banca acquista, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, attività finanziarie dalle banche del sistema (azioni o titoli anche tossici), con effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime. Convenzionalmente, invece, il controllo della base monetaria avviene con la vendita o acquisto di titoli governativi in apposite aste.
La Bank Of Japan dunque avvierà operazioni mensili di acquisti di titoli senza un termine prefissato, come avveniva in passato, uno schema molto simile ai programmi di alleggerimento quantitativo adottati dalla statunitense Federal Reserve. L’importo degli interventi sarà pari a 13 mila miliardi di yen ogni mese per un periodo indefinito.
La FED infatti aveva fatto un’operazione analoga dal 2008 acquistando dalle banche mensilmente debiti pari allo 0,50 per cento del Pil. Il Giappone viaggerà a una velocità doppia di quella statunitense con l’obiettivo di travasare in tre anni un volume di debiti simile a quello trasferito dagli americani in 5 anni.
L’Abenomics ricorda anche molto da vicino la cosiddetta “quantitative easing” inventata da Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, che vuole assolutamente evitare gli errori della mai dimenticata depressione degli anni ’30.
Bernanke ha deciso di stampare grandi quantità di moneta, circa 85 miliardi al mese, respingendo le critiche che vengono anche dalla stessa FED. Obama intanto ha proposto una riforma del Welfare morbida, tagli sopportabili, pensioni incluse, spalmata su un decennio. In USA c’è un solo pensiero sovrano: nuovi investimenti pubblici per la crescita. Prima il lavoro, e con calma le riforme strutturali. Mettendo sul piatto un deficit/ Pil del 10% nel momento più duro della recessione, sceso già al 4,4% nel 2012 e alla fine del decennio sarà all’1,7%. Il risanamento dei conti proviene dalla crescita, non dall’austerity. Risultato: oltre tre anni di crescita economica, un aumento dell’occupazione costante: medie di 150.000 nuovi occupati al mese. Una bella differenza rispetto al milione di licenziamenti nell’Italia del 2012.
Ma torniamo al Giappone.
Nel 2013, il deficit pubblico di Tokyo aumenterà del 2% del Pil, portandosi al 11,5%. Gli investimenti pubblici aggiuntivi dovrebbero ammontare complessivamente a 170 miliardi di dollari, di cui 85 miliardi a carico della finanza pubblica e l’altra metà a carico dei privati: finalizzati alla ricerca nelle tecnologie avanzate, specie nel settore energetico, alla ricostruzione dopo lo tsunami, alla sicurezza antisismica ed al sostegno dei redditi delle fasce più deboli.
Il risultato atteso da questi interventi dovrebbe essere di circa seicentomila nuovi posti di lavoro. il Giappone ha adottato una strategia opposta a quella della pauperizzazione del lavoro: in Europa regna come unica soluzione per sopravvivere nella competizione globale. Il debito pubblico giapponese, che arriverà al 236% del Pil, viene piazzato sull’interno al tasso dello 0,82% per i titoli decennali, un livello più basso dei corrispondenti titoli statunitensi e tedeschi.
La banca centrale giapponese, dunque, immette denaro nell’economia acquistando il debito pubblico. Entro il 2015 la base monetaria passerà da 135 mila miliardi a 270 miliardi di yen. Questa enorme massa di danaro serve per l’appunto per ricomprare dalle banche le obbligazioni del tesoro giapponesi. Secondo alcune stime, il debito pubblico giapponese verrà travasato alla banca centrale al ritmo mensile dell’1 per cento del Pil nel 2013 e dell’1,1 per cento nel 2014.
Per quanto riguarda la liquidità impiegata all’estero, si stima che da settembre scorso siano entrati in Europa già 50 miliardi di dollari provenienti da Tokyo.
Insomma, poiché i titoli del Tesoro giapponese non rendevano più niente, l’enorme deposito di risparmi che è l’economia del Sol Levante sta cercando altrove dei rendimenti positivi. Ne hanno beneficiato i bond pubblici francesi ma anche Bot e Btp italiani.
Ma tutti questi soldi da dove vengono? I soldi i giapponesi, loro possono, noi no, se li stampano esattamente come è avvenuto negli Stati Uniti. Il pericolo è l’inflazione, ma in un paese a regime deflattivo da così tanti anni, un tasso d’inflazione controllato del 2 per cento, viene giudicato corretto e addirittura essenziale per la ripresa. E’ uno degli obiettivi del premier giapponese aiutato paradossalmente dalla crisi mondiale che dovrebbe aiutare il Giappone a controllare pericolose spinte inflazionistiche. Se gli stimoli fiscali all’industria funzioneranno ripartiranno le esportazioni sulla spinta del deprezzamento dello yen, già se ne sono visti i primi accenni. L’aumento delle esportazioni e la ripresa produrranno più entrate fiscali che contribuiranno a ripagare il debito nelle mani della banca centrale.
Dal report di aprile della Banca del Giappone emerge del resto che l’economia giapponese ha smesso d’indebolirsi e ha mostrato alcuni segnali di ripresa. La banca centrale ha alzato la sua valutazione sull’economia dell’Impero del Sol Levante per il quarto mese consecutivo.
Confortante poi il fatto che nell’ultimo trimestre del 2012 il Giappone sia uscito dalla recessione, grazie al Pil che è rimasto stabile rispetto ai tre mesi precedenti, facendo quindi meglio delle previsioni di un -0,1%. Su base annua il Pil ha addirittura registrato una crescita pari allo 0,2%, migliore rispetto alla prima stima di -0,4%.
Grazie al miglioramento dell’ultimo quarto l’economia è cresciuta nell’intero 2012 del 2%, un risultato al quale ha contribuito, e questo è veramente un elemento degno di nota, l’aumento dei consumi delle famiglie oltre che i lavori di ricostruzione dopo lo tsunami.
L’Europa dovrebbe guardare con molta attenzione all’esperimento giapponese, la situazione di stagnazione è molto simile a quella giapponese e le politiche di austerità potrebbero essere causa di deflazione per lunghissimi anni. Bisognerebbe rovesciare il ruolo della BCE e delle banche centrali. Ma in Germania incombe ancora lo spettro dell’inflazione monstre della Repubblica di Weimar.
“Tagliando i deficit si ricrea fiducia, e con la fiducia ripartirà la crescita”, ha detto il ministro dell’economia tedesco Wolfgang Schaeuble a Benacker. Sì, la crescita. Della recessione.