Il sindacato punta a una soluzione che finirebbe per discriminare il malato. Agli onori della cronaca il caso di una dipendente di Giochi del Titano.
di Loris Pironi
Fixing aveva già sollevato – in tempi non sospetti, alla fine dell’anno scorso – dubbi interpretativi relativi al nodo della non idoneità alla mansione. Oggi il problema, da potenziale, è diventato reale: i casi in Repubblica si contano presumibilmente sulle dita di una mano, ma sono tutti quanti spinosi e intricati. Uno in particolare, per altri motivi, è salito agli onori (si fa per dire) della cronaca, ed è il caso della dipendente della Giochi del Titano per la quale si è speso pubblicamente il sindacato proprio nei giorni scorsi. Molto semplicemente riepiloghiamo la questione. Quando si parla di non idoneità alla mansione non si parla di malattia, ma di un impedimento fisico (anche una semplice allergia, ad esempio) che non rende possibile per il dipendente svolgere la mansione specifica per la quale è stato assunto. Cosa succede a questo punto? Nel caso in cui l’azienda abbia la possibilità di trasferire il dipendente ad altra mansione, il problema non si pone. Allorquando ciò non è possibile (senza andare a modificare l’assetto organizzativo), poiché il lavoratore correva il rischio di veder risolto il proprio rapporto di lavoro senza tutele, si è pensato di porre rimedio a quella che poteva prefigurarsi come una discriminazione con la L. 73/2010 (poi modificata in parte dal D.D. 156/2011). Che però di fatto comporta quella che Fixing ha già definito una discriminazione al contrario rispetto al trattamento riservato al lavoratore in caso di malattia e infortunio. In base alla Legge 34/1972 in questi casi è infatti previsto un periodo di comporto (ovvero la conservazione del posto di lavoro, con trattamento economico) di 365 giorni.
Primi effetti collaterali
La nuova legge, i cui effetti collaterali si cominciano a vedere proprio oggi, offre al lavoratore inidoneo – giustamente ed analogamente – un periodo di inabilità temporanea continuativa di un anno, 365 giorni, durante il quale continua a percepire un’indennità economica equivalente a quella per malattia (l’86% della retribuzione), senza essere sottoposto – a differenza del malato – ad alcuna forma di controllo domiciliare.
Trascorso questo periodo il buon senso dovrebbe imporre una situazione analoga a quella del lavoratore in malattia o in infortunio, ovvero la risoluzione del rapporto di lavoro previa la corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso. Ora invece il sindacato pretende – secondo un’interpretazione che ci pare decisamente molto ‘estensiva’, recentemente palesata al Governo e alle altre parti sociali – di consentire al lavoratore non idoneo che termina l’anno di trattamento l’accesso ad ulteriori ammortizzatori sociali, ovvero la mobilità e successivamente la disoccupazione, per un totale di 32 mesi contro i 12 di chi è malato o infortunato. La palla passa alla politica che deve decidere se e come porre mano a questa situazione di confusione e incertezza che genera inevitabilmente contenziosi onerosi per le imprese e spiacevoli anche per i lavoratori.
Il caso Giochi del Titano
Il caso Giochi del Titano è esemplare per quello che riguarda l’iter della normativa, e per questo la raccontiamo. Alla dipendente, giudicata inidonea alla mansione (hostess di sala) per via di una patologia alla schiena che le impediva di restare in piedi per un tempo continuato, stante l’impossibilità dell’impresa di destinarla ad altra mansione, è stato favorito l’accesso ai benefici di legge a seguito delle prescrizioni sanitarie, sia del Medico del Lavoro che della Direzione UOC Sicurezza sul Lavoro. Completato il periodo durante il quale la lavoratrice ha usufruito del previsto ammortizzatore sociale (un anno, appunto), i medici del Dipartimento Prevenzione Sicurezza sul Lavoro hanno stabilito la sua totale abilità alla mansione precedente, e l’azienda non ha fatto altro che adeguarsi alla decisione. Poi è nata la polemica, nella quale il sindacato ha sguazzato, ma in questa non entriamo perché qui non ci interessa.
Riflessione su riflessione
Ci concediamo una piccola riflessione sulla… riflessione di Emanuel Santolini, il Funzionario CSdL che nei giorni scorsi ha sollevato un polverone sul caso. Santolini ha preteso, testualmente, che il Direttore del Dipartimento Prevenzione e Sicurezza sul lavoro si muovesse per imporre all’azienda una nuova mansione per la propria dipendente. Quale modello economico di un qualsiasi Paese moderno e democratico prevede che lo Stato interferisca nel potere organizzativo del datore di lavoro, e quindi nel diritto stesso di fare impresa?