San Marino: il Santuario della Beata Vergine della Consolazione. Giovanni Michelucci: “Inserito in un ambiente sereno e patriarcale”.
L’archistar Giovanni Michelucci ha attraversato, nella sua “vita lunga un secolo”, il Novecento: la complessità di eventi, trasformazioni, idee che hanno animato un’epoca e di cui ci ha fornito testimonianza preziosa con un operare sempre teso all’apertura di nuovi linguaggi e proposte, la complessità di eventi, trasformazioni, idee che animano il ‘900. La sua impronta si è fermata anche nella Repubblica a San Marino dove, tra il 1964 e il 1967, progettò il Santuario della Beata Vergine della Consolazione, oggi sotto i riflettori. Per completare i lavori di sistemazione, mancano però all’appello ben 190 mila euro, che il parroco ha chiesto al fedeli. Il valore della struttura però è davvero inestimabile.
“Quanto alla chiesa di San Marino, confermo che il suo spazio è assai diverso da quello dell’Autostrada del Sole, e conseguentemente la forma dell’edificio è assai diversa. Uno spazio non si può ripetere, a mio avviso, perché è sempre riferito a un determinato momento storico, a un determinato ambiente… Allora, per ritornare a San Marino, quando per raggiungere questi centri passo dai paesi e dai luoghi del Montefeltro, anche senza volerlo assimilo tanti elementi che mi colpiscono, li elaboro e il mio pensiero ne fa poi quel che vuole. Qui si trattava di inserirsi in un ambiente sereno, patriarcale, in prossimità di un borgo dalla struttura medievale (Borgo Maggiore). Nel mio pensiero i paesi e i luoghi del Montefeltro, questa borgata e la rocciosa struttura di San Marino hanno costituito il lievito indispensabile per precisare lo spazio che è stato realizzato”.
Inizialmente il progetto fu affidato all’ingegnere locale Gino Zani che elaborò un progetto legato alla tradizione architettonica locale. Michelucci era stato interpellato dal governo di San Marino per una consulenza, rimasta su carta, circa la trasformazione di una casa di riposo. Decaduta la precedente commissione, l’architetto fu incaricato di disegnare il Santuario della Beata Vergine della Consolazione, al posto di Zani. Il progetto fu presentato all’assemblea della Congregazione già nel 1961. Michelucci, nella sua ultima stagione di intensa creatività, si getta con vigore nell’impresa e, nel settembre del 1961, è già in grado di presentare i primi schizzi e un modello in creta. Mantenendo come riferimento il ciglio della superstrada, la proposta vede la chiesa che sembra adagiarsi lungo le scoscese altimetrie del lotto generando un’architettura articolata su più livelli, con ballatoi, scalinate, quinte traforate, su cui si distende una copertura ondulata e proteiforme. Il modello di riferimento, qui come nella chiesa dell’Autostrada, è la cappella costruita a Ronchamp (1950-55) da Le Corbusier. Ma nell’impianto teatrale dell’aula, nei molteplici traguardi visuali, vibrano in tutta evidenza suggestioni di epoca barocca. Nelle tavole di progetto, approvate definitivamente il 10 aprile 1962, emerge poi con chiarezza la volontà di costruire un edificio dall’involucro doppio, nella cui intercapedine possano prendere forma i percorsi, i luoghi di sosta, i belvedere. Il materiale scelto è, naturalmente, la pietra calcarea di San Marino, dalle superfici ruvide e sofferte. Ma in ragione dei costi si deve ben presto ripiegare su un più semplice telaio in cemento armato, con tamponamento in laterizio e rivestimento in intonaco grezzo. Del resto sono molti i cambiamenti che Michelucci deve (o vuole) apportare in corso d’opera. Nell’autunno del 1962 prende avvio il cantiere, e l’architetto lo presidia, com’è suo costume, in ogni fase successiva: analizza i materiali, discute con gli operai, mette a punto i particolari costruttivi. Nel 1964, quando ormai è stato gettato l’ultimo solaio, decide di eliminare i puntoni in cemento armato che reggono la trave di colmo e li sostituisce con due archi simmetrici ad andamento parabolico. Al posto del profilo spezzato, che richiama quello della chiesa dell’Autostrada, ne propone uno più morbido, sinuoso, in perfetta coerenza con la morfologia del luogo. E l’interno assume una configurazione organica, “avvolgente e protettiva come il ventre materno”.
Il complesso di Borgo Maggiore presenta una pianta trapezoidale, irregolare, con una serie di percorsi interni che si sviluppano attorno all’aula principale, quest’ultima posta circa quattro metri sotto il piano stradale. L’ingresso avviene mediante un nartece, dal quale dipartono due percorsi: uno conduce direttamente all’interno al piano del matroneo, mentre l’altro, tramite una scalinata coperta, prosegue lungo il sagrato conducendo all’aula inferiore. La copertura dell’edificio, inizialmente in piombo, oggi in rame, è costituita da due falde che poggiano su archi parabolici. Secondo la critica, questi spazi ripropongono alcuni temi cari a Michelucci: la chiesa non è un edificio isolato, ma è integrato in un ambiente più vasto, aperto verso il territorio circostante.