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San Marino, teatro: la recensione dello spettacolo “Puzzle” dei Kataklò

da Redazione

La bellezza delle azioni fisiche otturano gli occhi: i danzatori e le danzatrici (o meglio: gli atleti) sono una delizia per gli occhi, e le musiche scelte sono la parte uditiva di un percorso ovattato, a tratti un po’ kitsch, che tocca vertici sublimi quando sfiora le corde dell’ironia, della comicità, purtroppo non sempre frequentata.

 

di Alessandro Carli

 

Un’azione corale che si costruisce – verbo antico e nobile – sulla forza dei colori, delle musiche e dei corpi levigati. Più atleti che danzatori, ma comunque molto fedeli al titolo dello spettacolo, nel “Puzzle” firmato dai Kataklò e ospitato sulle assi del Teatro Nuovo di Dogana di San Marino sabato scorso, si scorgono i sentori di un lavoro talvolta in chiaroscuro, incasellato in una frammentazione a singhiozzo. La sensazione è che i tasselli (mini pièce, quadretti di pochi minuti, allacciati tra di loro solo attraverso il buio in sala, senza alcun fil rouge semantico) che compongono l’arazzo disegnato da Giulia Staccioli, siano in realtà movimenti – bellissimi – a sé, senza dialogo, senza contatto, senza parola. La bellezza delle azioni fisiche otturano gli occhi: i danzatori e le danzatrici (o meglio; gli atleti) sono una delizia per gli occhi, e le musiche scelte sono la parte uditiva di un percorso ovattato, a tratti un po’ kitsch, che tocca vertici sublimi quando sfiora le corde dell’ironia, della comicità, purtroppo non sempre frequentata.

L’azione di questo “Puzzle” è tecnicamente ineccepibile: origami umani di rara bellezza, dondoli fatti di corpi sempre in tensione ma mai pensati, giochi di matrioske come fossero scatole cinesi, e quell’energia delle tonalità accese dei vestiti, dei drappi, degli oggetti totemistici che sormontano e scandiscono lo spazio scenico.

Non inganni il sold out fatto registrare dal teatro sammarinese: ben vengano i Kataklò, e tutti le compagnie in grado di portare in platea il pubblico. Però, sulle dita, rimane quell’ombra che oscilla tra estetica ed estetismo. Due brividi abbastanza lontani, nonostante la radice. “Puzzle” è un esercizio di stile, piacevole. Che strizza l’occhio a Raymond Queneau.    

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