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San Marino, investimenti esteri: siamo davvero pronti?

da Redazione

Fixing ha analizzato, metodicamente, pregi e difetti dei meccanismi con i quali il Titano tenta di attirare imprenditori sul territorio.

 

I conti pubblici di San Marino parlano chiaro. La raccolta bancaria si è ridotta ad un terzo rispetto all’inizio della crisi; il settore manifatturiero è in difficoltà come quello di tutta Europa; è acclarata anche l’intenzione della politica di non alzare in maniera sostanziale il livello della pressione fiscale (la riforma tributaria, in ogni caso temporaneamente affossata, parla chiaro). Poiché per far fronte a questo scenario, anche su breve e medio termine, la sola riduzione dei costi non è sufficiente, l’unica soluzione per risollevare le sorti del bilancio sammarinese è quella di riuscire ad attirare nuovi investimenti dall’estero. Già ma come? Il dibattito si è acceso dopo la “fuga di notizie” che ha fatto salire agli onori delle cronache l’interessamento del gruppo cinese Maxdo Ltd per un investimento in Repubblica da 100 milioni. Un dibattito francamente di livello non troppo alto, ma almeno si è incominciato a parlare di un tema, quello dell’attrazione di capitali esteri che, per il Titano, può essere declinato alternativamente con una sola parola: futuro. L’humus economico sammarinese è pronto per accogliere imprenditori esteri, non solo italiani dunque, permettendo loro di far sbocciare i propri affari, con le conseguenti ricadute in territorio per il gettito e l’occupazione? Ci sono gli strumenti per attirare questi investimenti, ma anche per controllare che si tratti di economia sana? Si può iniziare davvero una politica industriale (già che ci siamo proviamo ad allargare la veduta, e allora azzardiamoci a parlare di politica imprenditoriale, piuttosto) che sappia davvero guardare in prospettiva?

 

L’articolo integrale su San Marino Fixing n. 6, in edicola dal 15 febbraio

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