Riflessioni sulla “monotonia” del lavoro sicuro annunciata dal Premier italiano uscente Monti. Noi giovani siamo pronti alla flessibilità, ma la politica ora investa a lungo termine.
di Federica Baldacci *
“Che monotonia il posto fisso. I giovani si abituino a cambiare”. L’ha affermato, appena un anno fa, il Premier italiano Mario Monti. Mettersi in gioco e riuscire nell’impresa è come fare della propria vita un’opera d’arte; perciò il senso della fine non sarà più un oscuro presagio ma l’alba di un mondo che verrà.
Quando ricercare un impiego non significa solamente possedere un titolo di studio bensì una costante specializzazione, e l’affermazione in diversi ambiti, ecco che diventa una realizzazione personale, un nuovo stimolo per migliorare. È una questione individuale. Ma è anche l’indispensabile presupposto che permette a un Paese di evolversi, di aver prospettive reali per un futuro.
Il posto fisso è monotono? Semplificando, in questo acceso dibattito si possono individuare due esperienze contrapposte: quella dei ragazzi disoccupati e quella di chi è già nel mondo del lavoro.
La posizione di noi giovani in questo dibattito è chiara; siamo disposti a sacrifici, a sperimentare e a proporre nuove iniziative volte alla ricerca di un’occupazione. Siamo pronti a metterci in gioco. Certamente il sogno del “posto fisso” ci è stato tramandato di generazione in generazione, e difatti anche adesso è molto forte come esigenza. Allo stesso tempo, tuttavia, il mercato del lavoro si è evoluto, perciò la domanda attuale richiede lavoratori formati disposti al cambiamento, anche in un breve periodo di tempo. In poche parole ci viene richiesta flessibilità.
La nuova generazione è disposta e probabilmente anche formata per sostenere questo cambiamento. Ma lo sono allo stesso modo anche le generazioni precedenti? Chi oggi ha già un lavoro, ha sempre vissuto con la consapevolezza di avere uno stipendio sul quale far riferimento per eventuali investimenti, o semplicemente per costruire una famiglia. Ha costruito il proprio futuro basandosi su un reddito fisso, su un welfare state che ha sempre infuso sicurezza e su pensioni certe.
Al momento tutte queste certezze si sono rapidamente dissolte, e le condizioni di vita sono variate radicalmente. Numerosi dipendenti, ai quali è stata richiesta una maggiore formazione, hanno dovuto “aprire le loro menti” e specializzarsi. Hanno dovuto aumentare le proprie competenze per rimanere al passo con le esigenze del mercato.
Monti o non Monti, in Italia come a San Marino, il sogno del “posto fisso” nell’arco di un anno è quasi sparito. Certo, tranne che nella pubblica amministrazione, ma è un altro discorso.
Dato questi presupposti la nuova generazione, la nostra, pur essendo disposta a far sacrifici per ottenere un ruolo nella società, dovrà avere qualcosa in cambio. E come risorsa principale chiede uno Stato efficiente, che permetta realmente questo scambio di formazione-lavoro. Altrimenti non conosceremo mai il futuro.
Costruire una famiglia o semplicemente investire su se stessi richiede tempo e denaro che un disoccupato non può avere; qui deve entrare in gioco lo Stato, anche attraverso sussidi, borse di studio. Ma se questo Stato non è efficiente, come riuscirà la nostra generazione a fronteggiare la vita quotidiana?
Rispondendo all’affermazione del Presidente del Consiglio italiano, cambiare è bene, cambiare è bello. Ma nessuno sarà mai disposto a cambiare se alla base non ci sono certezze.
Le persone devono poter credere in uno Stato migliore e scommettere su di esso, perché perfezionare un meccanismo ci permette di essere soddisfatti di noi stessi. In questo modo ci sentiamo utili al sociale: ognuno di noi ha un reale valore. Dunque, è giunto il momento in cui tutta la società, a partire dai politici, abbassi le sue prospettive per un immediato futuro, investendo a un lungo termine.
* 4C – Liceo Economico Aziendale San Marino