I negozi avevano proposto il 4%, ma non basta: per il Comitato tetto al 7%. Opportunità persa per fare sistema e allargare il circuito di esercenti.
di Alessandro Carli
Raccogliere una vox populi significa quasi sempre trovare spiragli e spunti, nuove porte da aprire, possibili argomentazioni da approfondire. All’interno del primo numero dell’anno, San Marino Fixing ha raccontato l’apertura della stagione dei saldi. Tra diffusi sorrisi e qualche motivata lamentela dovuta alla crisi, è “uscita” la proposta del San Marino Factory Outlet: Maria Pia Attolini (gestione marketing), in merito alla SMaC card, non aveva chiuso la porta: “Abbiamo pensato di creare una categoria ad hoc, con condizioni diverse rispetto a quelle presenti per abbigliamento e calzature in quanto gli outlet hanno comunque margini di guadagno inferiori”.
Da onesti investigatori della notizia, abbiamo contattato la segreteria alle finanze della Repubblica di San Marino per capire – e donare al lettore – i margini e le richieste legate alla creazione di una nuova voce da inserire nella fidelity card.
“La richiesta è già stata avanzata da tempo – sottolinea Marinella Chiaruzzi, esperta del credito sociale e della SMaC Card – ma il comitato di indirizzo, l’organismo formato da istituti bancari e associazioni di categoria che valuta le proposte, ha evidenziato una serie di criticità, non ancora risolte. La regolamentazione degli outlet, rispetto agli altri esercizi commerciali, è abbastanza diverso. L’abbigliamento prevede una ‘ricarica’ SMaC del 7%: il 5% a carico dell’esercente e il rimanente 2% a carico dello Stato”.
Chiaruzzi entra nei dettagli. “La proposta pervenuta dagli outlet era del 4%: il 2% a carico dell’esercente e il 2% a carico dello Stato. Si sono mossi con grande correttezza: vorrebbero la SMaC card sia per il prezzo ordinario, ovvero per lo sconto al cartellino, sia per la fase di svendita. Al 7% potrebbero aderire; al 4%, come detto, il Comitato ha fatto emergere alcuni problemi”.
Il pensiero di Fixing
Visti i risicatissimi margini di guadagno da parte degli outlet, appare molto difficile, se non addirittura impossibile trovare un terreno di dialogo: il 4% è un limen pressoché insuperabile, e dall’altra parte gli esercizi commerciali locali, che propongono un 7%, si chiudono come antichi opliti, e vedono negli outlet non una risorsa per il sistema Paese ma una minaccia per la categoria. La nostra personalissima riflessione, che sposa il progetto di fare sistema, guarda con occhio favorevole l’entrata nel circuito degli outlet: non è un discorso di aliquote (per gli alimentari, la percentuale è di soli due punti: 2 centesimo ogni euro) ma di ragionamento allargato. Crediamo cioè che un 2%+2% sia sostenibile, e che ampliare ulteriormente il ventaglio di esercizi associati possa avere una ricaduta positiva su tutto il territorio sammarinese. E’ chiaro che per riuscirci, occorre un cambio di passo, forse anche di mentalità. Gli outlet difatti, secondo quanto chiarisce la legge sul commercio (la numero 130 del 2010, articolo 16) vendono prodotti “con le caratteristiche di articoli precedentemente invenduti, articoli di campionario, articoli con difetti di fabbrica non occulti, prodotti di fine serie anche provenienti da altra attività commerciale”. Prodotti che non vanno ad intaccare quella clientela che cerca le nuove linee fashion.