Home FixingFixing La politica italiana è in confusione. Si vede anche dall’orgia di simboli

La politica italiana è in confusione. Si vede anche dall’orgia di simboli

da Redazione

Come si fa a pensare bene? Il delirio è totale, tra lista Bunga Bunga e Partito Forza Evasori. La partita decisiva si gioca per il Senato. Vincerà chi farà la differenza in tre Regioni.

 

di Saverio Mercadante

 

La crisi della politica italiana? Un equivoco, creato ad arte dai giornali, dai media malevoli e male informati. Sembra davvero di essere in un altro mondo scorrendo la lista e il numero dei simboli presentati per le elezioni politiche 2013, che si terranno il 24 febbraio e il 25 febbraio: 219 “marchi” politici, di cui 16 subito bocciati. L’astensionismo strisciante e montante, come hanno dimostrato anche le elezioni regionali in Sicilia, il rigetto diffuso della classe politica dopo gli scandali che hanno coinvolto – chi più chi meno – un’intera generazione di dirigenti politici, sembra che non abbiano intaccato la voglia di potere degli italiani che sul trasformismo hanno costruito la storia del Paese. La politica si è ridotta a una farsa grottesca, i partiti sono tanto odiati ma se dobbiamo far riferimento al numero delle liste presentate, sono ancora al centro dei desideri degli italiani. Cinque anni fa, alle ultime politiche, i marchi depositati al Ministero dell’Interno si erano fermati a quota 181, con 153 poi effettivamente stampati sulle schede elettorali. Certo ci sarà un bel repulisti da parte del Ministero dell’Interno, a cominciare da quelli simil-grillini, o para-ingroiani: liste civetta le chiamano. O quella praticamente uguale a quella che appoggia Mario Monti. “Ma io mi chiamo veramente Monti, ma Samuele di nome”, si è giustificato il leader dello sconosciuto movimento. Ma l’elenco sarebbe davvero lungo, un quadro degno dei più corrosivi film della commedia all’italiana: “Forza evasori – Stato ladro”, “Democrazia atea”, “Io non voto”, “Forza Roma”, “Forza Lazio” “Liberi da Equitalia”, “Pas – Fermiamo le banche e le Tasse”, “Movimento Bunga Bunga, “Lega Italia”, “Viva Italia”, “Ppl – Pane, pace, lavoro”, Pin – “Partito Italia Nuova”.

Insomma un delirio che ben rappresenta anche la massima confusione delle liste politiche di serie A, e direi degli elettori italiani, in generale. Se in Italia fossero andati alle elezioni un anno fa, dopo la caduta del Governo Berlusconi, probabilmente la sinistra o il centro-sinistra avrebbero vinto a mani basse. Il quadro politico sarebbe molto meno confuso, e anche con il Porcellum, la famigerata legge elettorale italiana, sarebbe stato molto più chiaro su chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso. Un anno di governo Monti, che certamente ha recuperato credibilità internazionale per l’Italia, ha abbassato lo spread, ha rimesso in qualche modo a posto i conti, ma già il leader del Pd Bersani mette le mani avanti (“non vorrei che ci fosse molta polvere sotto il tappeto”), ha paradossalmente reso lo scenario politico molto più confuso. Secondo molti analisti anche internazionali, come il Financial Times, la salita in campo di Monti è una variante, una “mina vagante” che ha indebolito la statura politica del professore e sta creando parecchi problemi alla coalizione Pd-Sel, data come vittoriosa sino a qualche giorno fa. Non è un caso che pare abbia chiesto un accordo di desistenza alla lista di Rivoluzione Civile di Ingroia, proprio laddove il risultato sembra più incerto, in questo caso in Sicilia (e non solo). E’ noto che sono in bilico tre regioni fondamentali per la maggioranza al Senato: Lombardia, Campania e Sicilia. Lì si gioca la vera partita. La legge italiana prevede infatti un premio di maggioranza nazionale alla Camera dei deputati mentre al Senato il premio di maggioranza è regionale. La Lombardia, dove si elegge anche il presidente di Regione, che porta 49 senatori in Parlamento, diventa decisiva anche per i risultati elettorali. Non è un caso che in questa regione il Cavaliere abbia cercato lucidamente e pervicacemente l’alleanza con la Lega rinunciando ad essere candidato premier, prima condizione dettata da Maroni per tenere buona la base leghista. Silvio Berlusconi d’altronde conosce bene la legge elettorale: l’ha voluta lui sette anni fa per fermare Prodi. Ha costruito una coalizione piena di sigle per rastrellare più voti. Al Senato il premio di maggioranza è regionale? Ha studiato le alleanze locali giuste per vincere più seggi possibile. E infatti sono addirittura quattordici le liste che appoggiano il Cavaliere. Dopo una lunga giornata di trattative, domenica sera, il partito di Berlusconi ha chiuso la partita sui cosiddetti apparentamenti in vista della sfida elettorale del 2013. La coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi è composta da nove partiti schierati per Montecitorio e quattordici per il Senato. Il network di Berlusconi imbarca, così, dalla Lega Nord di Maroni al Grande Sud di Gianfranco Miccichè e sostenuta da alcuni governatori del Pdl, insieme alla formazione politica autonoma di Raffaele Lombardo, Mpa-Pds. Ci dovrebbero essere inoltre Fratelli d’Italia – Centrodestra nazionale del tridente La Russa-Meloni-Crosetto, il Mir dell’imprenditore Samorì, La Destra di Francesco Storace, Intesa popolare di Giampiero Catone, i Pensionati di Fatuzzo. Rinascimento Italia – Lista del merito di Arturo Artom sarà alleata del Pdl al Senato mentre correrà da sola alla Camera. E non si fa mancare nemmeno “Liberi da Equitalia”, la lista del movimento consumatori fondata dall’avvocato napoletano Angelo Pisani, presidente della municipalità di Scampia, difensore di Maradona per i 40 milioni di euro che il Pibe de oro dovrebbe dare al fisco italiano. I toni in questi ultimi giorni si sono fatti sempre più accesi, specialmente tra Monti e Berlusconi: è lì lo snodo principale delle prossime elezioni politiche italiane. Che influisce su alleanze e il via vai tra uno schieramento e l’altro dei cosiddetti moderati italiani. I “montiani” del Pdl, dopo tanto sbracciarsi contro l’impresentabilità del Cavaliere sembrano quasi tutti sulla via di Damasco che porta ad Arcore, ancora una volta. Il Cavaliere è un combattente, bisogna ammetterlo. E come pensano quasi tutti, sa vincere le elezioni anche se non sa governare. Non sarà una corsa a due come nelle scorse elezioni. La presenza di Mario Monti e del Movimento Cinque Stelle che insieme possono valere almeno dal venti al trenta per cento saranno determinanti. Bersani ha cambiato strategia. Basta ammucchiate: la coalizione che guiderà non è formata da decine di sigle, ma da pochi partiti. Ci sono il Pd e Sel. E in secondo piano i socialisti e la formazione di Tabacci e Donadi, in uscita dalla lista di Di Pietro. Che fa parte invece dell’ammucchiata di Rivoluzione Civile, dove ci sono dentro anche i Verdi, i Comunisti di Ferrero, i fuoriusciti Grillini, e gli arancioni di De Magistris. Una scelta quella di Bersani, che dovrebbe rendere più facile governare in caso di vittoria. Ma potrebbe essere una vittoria inutile se al Senato non vincerà: da subito questo scenario obbligherà il segretario democratico a un’intesa con i parlamentari di Monti. E Pierferdinando Casini già lo ha detto: “Bersani guiderà il prossimo governo solo se vincerà alla Camera e al Senato”. Povera Italia, costretta a mangiare il Porcellum.

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