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San Marino, teatro: la recensione del “Discorso del re” di Luca Barbareschi

da Redazione

La pièce, portata sulle assi del Nuovo di Dogana mercoledì 9 gennaio davanti a una platea gremita e salutata da scroscianti applausi, è la testimonianza di un’analisi profonda sul testo.

 

di Alessandro Carli

 

La superba messa in scena de “Il discorso del re” di Luca Barbareschi conferma la poca sincerità di molti critici teatrali che, seguendo le mode e gli stili, osannano o spingono verso gli abissi un attore (uno su tutto, Gianluca Testa che, testualmente, ha scritto che “Barbareschi non inventa. Copia. Clona i principi del linguaggio cinematografico e li riporta forzatamente a teatro con scarso successo”).

La pièce, portata sulle assi del Nuovo di Dogana mercoledì 9 gennaio davanti a una platea gremita ma non gremitissima e salutata – dopo 2 ore e 40 minuti di mise en scene – da scroscianti applausi, è la testimonianza di un’analisi profonda sul testo e sulla realizzazione che Barbareschi, impegnato anche nella regia, ha compiuto. Pizzicando i registri più comici (il primo atto è molto divertente, mentre nel secondo “esce” maggiormente il dramma della balbuzie del futuro Giorgio VI), Barbareschi, che si è ritagliato il ruolo del logopedista Lionel Logue, il finto medico (in realtà, è un attore fallito) che curerà con successo il problema del re, mette in luce gli aspetti più sinceri del rapporto tra gli uomini.

Lo spettacolo, irrobustito e trasportato con impatto sino alla fine anche grazie alle doti di Filippo Dini, (il Duca di York, credibilissimo vocalmente nel suo tartagliare), racconta con efficacia scenica una grande pagine di storia del Novecento.

Al di là di qualche lieve eccesso cinematografico – le scene sono intervallate dalla proiezione di alcuni video che riprendono Hitler e dai funerali di Giorgio V – questo ottimo lavoro firmato da Barbareschi si smarca dalla granitica solidità e dallo statico rigore della pellicola, colorando di cuore latino l’anglosassonalità del film, bello ma freddo.

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