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L’ambasciatore Michele Chiaruzzi: “Obbligatorio studiare all’estero”

da Redazione

L’esperienza diretta del diplomatico sammarinese, che racconta a San Marino Fixing l’importanza della formazione fuori dal Titano.

Chiaruzzi col presidente Silajdzic

 

 

di Alessandro Carli

 

Il primo incontro con Michele Chiaruzzi (nella foto), ambasciatore di San Marino in Bosnia Erzegovina ma anche docente di Relazioni internazionali all’Università di Bologna e Life Member di Clare Hall, University of Cambridge, è avvenuto su queste pagine a inizio 2012, in occasione dell’inaugurazione dell’esposizione fotografica dedicata all’architettura sociale di Ralph Erskine (“Path Crossing Exhibition. A Social Architecture by Ralph Erskine”).

 

Assieme all’ambasciatore, oggi, parliamo degli studi all’estero e dell’importanza del bilinguismo.


“La mia prima esperienza – racconta Michele Chiaruzzi – risale agli scambi di studio con l’estero organizzati dall’Ufficio attività sociali e culturali di San Marino, oggi sciaguratamente soppressi, che spero siamo presto ripristinati. Erano uno strumento fondamentale per l’educazione dei sammarinesi. Forse l’esperienza più significativa è stata quand’ero ancora studente universitario: una missione di ricerca in Tagikistan e Uzbekistan, costruita autonomamente, per capire l’Asia centrale. Mi fermai per circa due mesi: realizzammo, assieme a professori e diplomatici, un’esperienza ‘sul campo’ molto fertile. Quell’evento dimostra che anche semplici studenti posso costruire grandi imprese, senza attendere aiuti o seguire percorsi prestabiliti”.

 

Non solo Tagikistan, però: lei ha studiato anche negli USA, in Australia e a Cambridge. Che differenze ha riscontrato rispetto alle università italiane?


“La comparazione è molto difficile. Quelle italiane sono pubbliche e generaliste, quelle anglosassoni – non solo Cambridge, ma anche quelle statunitensi e australiane che mi hanno accolto – invece sono private ed esclusive. In generale, la dimensione e le risorse fanno una certa differenza per lo studio. Eppure, per esempio, l’educazione fornita all’Università di Bologna non è da meno bensì differente nei modi e nei contenuti. Sono modelli diversi, entrambi con pregi e difetti. Se quelle italiane accusano una certa pesantezza, le altre soffrono di eccessiva leggerezza”.

 

Stati Uniti e Australia.


“Le università degli Stati Uniti e dell’Australia hanno emulato quelle inglesi, specialmente quelle a stelle e strisce. Quelle australiane hanno una storia molto giovane, fresca, e sono assai dinamiche. Tutte però non soffrono una certa rigidità nei rapporti tra studente e docente invece assai frequenti in Italia, che spesso deprimono l’acquisizione del sapere. Ma la responsabilità di ciò non è solo dell’università”.

 

Cambridge.


“C’è molta informalità nella formalità. E’ un ambiente vivace, internazionale e altamente formativo, un esempio di socialità universitaria pluriculturale piuttosto particolare e direi unico: la città è l’università, tutta la cultura è per tutti pane quotidiano. Tradizione e innovazione, per davvero, e sostegno concreto a chi vuole riuscire a dare di più”.  

 

Che rapporti ha con l’Università di San Marino?


“Sono stato borsista alla Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino, dopo essere stato costretto a una rinuncia per il mio status di sammarinese extracomunitario. In realtà, riportandomi in Repubblica, il destino mi ha aiutato: è una Scuola eccezionale, plurilinguistica, incrocio di tanti saperi con allievi e docenti internazionali, un’esperienza che non teme confronti. In casa abbiamo una perla rara e preziosa, Luciano Canfora”.

 

Cosa significa studiare all’estero?


“Estero e interno sono due concetti molto relativi. Io credo dipenda dai maestri che si incontrano, del modo con cui ci si confronta e dalla disponibilità ad imparare. E’ decisivo superare i confini della propria cultura d’origine, qualunque essa sia. Per fare questo è spesso necessario creare distanza tra noi e ciò che è familiare, conosciuto. Come un corridore nella gara della vita, per partecipare occorre recarsi ai blocchi di partenza e partire al momento giusto senza poter prevedere l’esito. Non si può restare al campo d’allenamento. Ma poi, dopo ogni gara, il corridore lì ritorna”.

 

Quindi un’esperienza che consiglia?


“Non solo consiglio: credo sia d’obbligo. La dicotomia esterno/interno va rimossa: per formarci compiutamente come esseri umani, occorre rendere tutti i confini trasparenti e attraversarli; anche quelli a noi prossimi. L’identità va condiva con il resto del mondo: uscire, vivere e poi riportare a San Marino le esperienze, la cultura, la conoscenza. Conoscere il mondo significa conoscere quel che si è stati, quel che si è, e quel che non si è ancora ma si potrà essere”.

 

Estero significa anche bilinguismo…


“Bilinguismo non significa solo lingua inglese, pur ovviamente fondamentale. In generale, se ci si lascia coinvolgere dal luogo in cui ci si reca e dalle persone che si incontrano, i processi di acquisizione di una lingua straniera possono diventare velocissimi ed efficienti. Occorre vivere direttamente l’esperienza con ciò che ancora non si sa, aprirsi al confronto, appunto dialogare. E’ importante immergersi a fondo nella cultura di chi ti riceve. Con il bilinguismo – o meglio: con il multilinguismo, e quindi studiando il latino in primo luogo, e poi l’inglese, il francese, il tedesco, lo spagnolo e le lingue così lontane ma in realtà così vicine, come arabo e russo – si può acquisire compiuta consapevolezza della conoscenza del mondo perché essa passa inevitabilmente per il linguaggio. Conoscere altre lingue significa poter dialogare con la comunità umana, saper ascoltare e saper dire”.

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