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San Marino, il professor Valente sulla definizione di esterovestizione

da Redazione

E’ quando una società di un Paese, per esempio una società italiana, costituisce una società in un altro Paese, e la gestisce dal Paese di origine.

di Alessandro Carli

 

SAN MARINO – A latere del convegno “Verso il futuro. San Marino nella fiscalità internazionale”, organizzato dall’ANIS al Best Western Palace Hotel, il docente di fiscalità comunitaria Piergiorgio Valente – che da anni collabora con San Marino e dunque conosce molto bene questa realtà – ha sgombrato i dubbi fornendo a Fixing una definizione univoca e incontrovertibile di esterovestizione.

In via di prima approssimazione, per «esterovestizione» si intende il tentativo, posto in essere strumentalmente da parte di soggetti d’imposta italiani, di sottrarre alla legge tributaria dello Stato italiano (e, dunque, alla potestà impositiva di questi): fonti di reddito, astrattamente imponibili nel territorio dello Stato; attività d’impresa, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Il fenomeno della cosiddetta ‘esterovestizione’ non riguarda i redditi – e le attività d’impresa – prodotti dalle società ‘off-shore’ al di fuori del (ovvero ‘altrove’ rispetto al) territorio dello Stato nel quale esse sono solo formalmente residenti”.

“Il problema della corretta individuazione della residenza fiscale (ai sensi dell’art. 73 comma 3 e 5-bis del TUIR) può porsi per le società holding di gestione di partecipazioni, la cui attività è necessariamente collegata con il territorio dello Stato in cui sono costituite. Nel dettaglio, l’esterovestizione di fonti di reddito può, ad esempio, verificarsi nell’ipotesi di costituzione di holding nel territorio di Stati che prevedono, a determinate condizioni, regimi di esenzione totale delle (eventuali) plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni (cd. ‘participation exemption’).

Nel caso di società industriali e commerciali costituite all’estero, mediante la cosiddetta ‘esterovestizione’ di attività, solitamente si tende a collocare all’estero, unicamente sotto il profilo formale, il luogo di produzione del reddito d’impresa, onde consentire la sottrazione dello stesso alla potestà impositiva dello Stato italiano. Ciò, si precisa, indipendentemente dal livello impositivo in essere nei Paesi in cui il reddito è delocalizzato (non necessariamente contraddistinti da regimi fiscali privilegiati) e dallo sfruttamento di meccanismi di tax deferral (i.e., differimento del rimpatrio degli utili in Italia e, quindi, della relativa tassazione)”.

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