L’evento – in programma domenica 14 ottobre al Teatro degli Atti alle 22.30 – è inserito nel cartellone de “Le voci dell’anima”.
di Alessandro Carli
Si chiama “Utopie del corpo”, il progetto voluto da Isabella Bordoni (con lei anche Bert Theis ed Erika Lazzarino) e inserito nel programma de “Le voci dell’anima”. Domenica 14 ottobre al Teatro degli Atti di Rimini (via Cairoli), buio in sala sul concerto dei Ronin. Per l’occasione, abbiamo intervistato Bruno Dorella.
Com’è nato il nome Ronin?
“Il Ronin, nel Giappone medievale, è il samurai che ha fallito. Per tradimento o per inettitudine, non è riuscito nel suo unico compito, proteggere e servire il suo padrone. Diventa quindi un Ronin, un mercenario costretto a vagare, con l’onta della sconfitta. Per estensione, nella società giapponese di oggi Ronin è anche uno che perde il lavoro, o uno studente che non viene ammesso al corso e che si ritrova quindi con un anno di inattività, tutte cose piuttosto malviste. L’ Eroe Sconfitto è uno dei temi che mi sono più cari, e tutto il discorso conseguente del mercenario girovago, per imposizione e non per scelta, mi affascina molto”.
L’ultimo album si intitola “Fenice”: Nella mitologia, muore e rinasce dopo 500 anni. Qual è il legame tra la Fenice e l’album?
“I Ronin sono sempre stati in bilico tra il successo e lo scioglimento, un po’ come i samurai di cui sopra. L’anno scorso, a Luglio, al culmine di un periodo di sbando, avevo deciso di sciogliere la brigata. Gli altri però mi hanno fatto rinsavire, con un blitz da Milano (dove vivono loro) a Ravenna (dove vivo io) che mi è rimasto molto impresso. Da quel giorno, come la Fenice, il gruppo è rinato dalle proprie ceneri, con una voglia di fare ed un approccio da gruppo all’esordio. Con questo spirito è nato l’album”.
Dove avete composto le musiche e i testi?
“Mi sarebbe piaciuto scrivere i testi su una scogliera in Cornovaglia, con un po’ di spleen, ma siamo un gruppo strumentale, quindi non abbiamo potuto toglierci questa soddisfazione. L’unico pezzo cantato è ‘It was a very good year’, resa celebre da Frank Sinatra. Le musiche sono state composte da me in un arco di tempo piuttosto lungo, tra quando stavo a Berlino e quando mi sono trasferito a Ravenna”.
In “Fenice”, alcuni titoli sono in italiano, altri in inglese. Come scegliete i titoli?
“Quasi sempre è la suggestione di partenza a dare il titolo. In alcuni casi invece, quando il titolo manca, ci consultiamo sul tipo di immagine che il pezzo ci evoca. Col tempo però ho scoperto che è meglio non dare troppe indicazioni, in modo che ognuno possa farsi il suo viaggio, trasportato dalla musica, senza averne uno imposto da noi”.
Quali sono le vostre “contaminazioni”?
“Sarà banale dirlo, ma tutta la musica rientra nelle potenziali contaminazioni. Avendo la pretesa di suonare colonne sonore immaginarie, dobbiamo avere dimestichezza con ogni tipo di musica, e con le emozioni che si possono suscitare con ogni stile. Vale soprattutto per gli ascolti, tutti i Ronin ascoltano di tutto, dalla musica antica all’ elettronica più avanzata. Se dovessi citare i nomi di 3 maestri, direi Ennio Morricone, Nino Rota ed Henry Mancini”.
Cosa proporrete al pubblico riminese?
“Principalmente i brani del nuovo album ‘Fenice’, con qualche excursus nei classici della nostra produzione precedente.
Cos’è per voi la musica?
“Posso rispondere per me, visto che la cosa è piuttosto soggettiva. E non voglio essere troppo poetico, ti dico le cose come stanno: è l’unica cosa che mi viene bene. Sono negato in ogni altro aspetto della vita. Ma la musica mi riesce molto bene, ed in modo incredibilmente facile. Anche ascoltare musica è una cosa che cattura la mia attenzione in modo totale, se sento qualcosa che mi piace mollo qualunque attività per ascoltarla. Sin da piccolo ho avuto una spiccata sensibilità per l’ascolto e per il ritmo. E’ il mio unico talento”.
Come nasce una canzone?
Può nascere in tanti modi diversi, a volte è molto pensata e meditata addirittura prima di mettere mano allo strumento, altre volte nasce suonando a caso sulla chitarra. Per lo più comunque la mia musica nasce abbastanza chiaramente nella mia testa, prima ancora di finire sullo strumento, e viene poi magistralmente sviluppata dai miei compagni di viaggio, che sono musicisti molto bravi e sensibili”.
Quanto c’è di reale e quanto di immaginato?
“Naturalmente la musica è una versione immaginata di suggestioni che provengono dal reale. La proporzione è variabile”.
Buio in sala alle 22.30.
Info: 333.4021774.