“Il problema più importante per tramandarlo è che si è persa la staffetta, il passaggio del testimone tra i nonni e i nipoti”. Ad ottobre il primo laboratorio per ragazzi “t’artunaré ma la grèpia”.
di Saverio Mercadante
“Il dialetto sammarinese romagnolo, così è meglio classificarlo, non è al cento per cento autoctono. Basta cambiare castello, da Serravalle dove io sono nato, agli altri, e le cadenze cambiano”.
Checco Guidi, scrittore poeta dialettale sammarinese ci conduce all’interno di questo universo linguistico assolutamente da salvaguardare.
“Il ceppo è lo stesso, dunque, ma nei tempi andati quando era l’unica lingua parlata, non era una lingua scritta, ha avuto uno sviluppo diverso a seconda dei luoghi dove si tenevano i mercati, le fiere del bestiame. Come a Borgo Maggiore, da tempi antichissimi. Le influenze del Montefeltro lì erano molto importanti. A Borgo Maggiore non andavano certo quelli che provenivano da Serravalle o i contadini che provenivano da Santa Cristina. Anche in città le influenze dialettali provenivano dal Montefeltro, da Urbino. A Serravalle, per esempio, prevalgono molto i dittonghi assenti nel dialetto che si parlava in Città. Piccole differenze che fanno parte di un unico ceppo linguistico che deriva dal latino volgare. I romani dopo la conquista dei territori imponevano il latino che si innestava sulle singole parlate locali”.
“Il dialetto sino agli anni cinquanta – rammenta Guidi – era veramente ancora l’unica lingua parlata. I maestri a scuola ci sgridavano molto perché non riuscivamo a parlare in italiano e soprattutto a scrivere in italiano. Ci dicevano che il dialetto doveva abbandonarlo. Per loro significava ignoranza, mondo contadino. Però, va detto che in questi ultimi anni c’è una rivalutazione del dialetto. Ed è importante per mantenere una testimonianza delle radici di determinati territori all’interno della globalizzazione che tende ad uniformare le identità originarie. Nelle famiglie dove ci sono ancora i nonni si parla ancora il dialetto. La generazione dei quarantenni lo capisce lo comprende ma già non lo parla più con i figli. Ma quando vengono rappresentate delle commedie dialettali i teatri sono sempre pieni e i giovanissimi si divertono ancora molto. Specialmente con i cosiddetti ‘modi di dire’ che vengono ancora usati e fanno parte del linguaggio moderno, sono ancora attuali. Ho scoperto nella mia esperienza personale che i bambini specialmente hanno questa curiosità linguistica. Anche a scuola sono spesso chiamato per iniziative che riguardano il dialetto. Anche le mie figlie sono state allevate bilingue, se così si può dire, parlando il dialetto in casa. E ho fiducia che anche le mie nipotine possano impararlo pian piano, mantenere questa testimonianza. A San Marino vi è una certa tradizione di studio del dialetto rappresentata dal professor Giuseppe Macina. Nel-l’800 un rappresentante della poesia dialettale è stato Pietro Rossi che ha influito la poesia di Giustiniano Villa, di San Clemente di Morciano, molto conosciuto allora. I nostri vecchi sapevano a memoria, anche se erano analfabeti, le sue poesie. Parlo della fine Ottocento, inizi Novecento. Piuttosto importante è stato Giacomo Martelli. E altri minori, che durante le feste mettevano giù dei versi. O in occasione della bacileda, da bacilare che vuol dire, soffrire, far patire. Dopo un matrimonio tra un uomo più anzianotto e la sua sposa molto più giovane si andava a dar fastidio sotto la finestra degli sposi novelli cantando e battendo delle pentole. Fino a che non scendevano per offrire un bicchiere di vino o un po’ di ciambella”.
“In ogni caso – si rammarica il poeta sammarinese – il problema più importante per il tramandare del dialetto è che si è persa la staffetta, il passaggio del testimone tra i nonni e i nipotini. Una volta si viveva tutti insieme, sino agli anni sessanta, anche i settanta. Così il nipotino, anche se i genitori parlavano in italiano stando accanto al nonno tutto il giorno recepiva nel quotidiano il suono del dialetto. Purtroppo in questi ultimi decenni s’è persa questa frequentazione così stretta. L’ascoltare era, ed è fondamentale”.
Per cercare di far rimanere viva la saggezza del dialetto, Guidi ha ideato e condurrà il primo laboratorio dialettale dal titolo “T’artunaré ma la grèpia”. Alla riscoperta delle radici attraverso ,i modi dire e i detti popolari della terra sammarinese. Sono incontri settimanali per gli alunni della quinta elementare e studenti della scuola media. Inizio dei corsi gratuiti, sabato 13 ottobre 2012, presso la parrocchia di Serravalle. Info: 3358494880.