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Founder Institute: evoluzione della start up

da Redazione

Formare, aiutare e guadagnare con i nuovi imprenditori dell’hi-tech. Lanciate 565 aziende; 2 mila posti di lavoro, raccolti 40 mln di dollari.

 

di Saverio Mercadante

 

E’ un network mondiale di startup e mentor che forma e aiuta aspiranti imprenditori a lanciare imprese di successo, attraverso un programma di incubazione di quattro mesi. E’ il Founder Institute.

L’obiettivo è globalizzare la Silicon Valley.

E’ stato ideato nel 2009 da Adeo Ressi, imprenditore seriale di origine italiana. Molto brillanti i risultati di questi tre anni. Sono state lanciate 565 aziende operanti nell’ambito tecnologico: il 68% negli Stati Uniti, il 19% in Europa e il 9% in Asia e il 4% in Sud America: Il 79% di queste attività è ben avviato o addirittura in anticipo sulla tabella di marcia. Il 22% dei CEO sono donne, e sono stati creati più di duemila posti di lavoro. Sono stati raccolti oltre 40 milioni di dollari di finanziamenti. E’ partita anche la sessione italiana su iniziativa Nicola Mattina – fondatore di Elastic e co-founder di Stamplay – e Giuliano Iacobelli che hanno dato vita al primo chapter italiano di Founder Institute. Obiettivo del Founder Institute: dieci location in Europa che dovrebbero generare il lancio di 250 start up tecnologiche all’anno a partire dal 2013, pari a circa mille nuovi posti di lavoro all’anno.

Il programma di accelerazione di start up è una sorta di scuola di sopravvivenza fortemente meritocratica che punta sulla didattica e la mentorship. Il programma dura quindici settimane. I partecipanti affrontano gli aspetti fondamentali del fare impresa. Un incontro alla settimana, durante il quale tre imprenditori parlano della propria esperienza e valutano le attività dei ragazzi, assegnando loro dei task, compiti. L’impegno richiesto è di venti ore alla settimana. I partecipanti hanno inoltre la possibilità di diventare parte della community internazionale, costituita da quelle 565 startup e di accedere ad una rete di circa 700 mentor, tra i quali imprenditori e specialisti nel digitale italiani. Si punta sulla persona non sulla startup. Si può avere un’idea non troppo formata di impresa: lo sviluppo dell’idea avviene durante il percorso. E’ possibile partecipare sia come singoli che vogliono acquisire competenze, sia come team con un progetto d’impresa.

Per entrare nel programma è necessario superare un “test sulla personalità” che valuta l’intelligenza ma anche altri tipi di predisposizioni fondamentali per essere un buon imprenditore. Ad esempio, viene testata la capacità di negoziare, l’apertura all’esplorazione delle novità, la propensione a terminare i compiti assegnati, la precisione. E’ un test scientifico molto attendibile con un’accuratezza del 70% che permette di fare una prima selezione. La seconda prova riguarda il progetto che viene presentato. L’aspirante imprenditore deve spiegare l’idea o descrivere il prodotto attorno al quale vuole costruire un’azienda e indicare le motivazioni che lo spingono in questa direzione. Su 100 persone che svolgono il test circa il 30% è ammesso. La valutazione dei candidati viene effettuata direttamente dalla casa madre. Tra le persone che partecipano meno della metà arrivano alla fine. Vi è una ulteriore selezione lungo il percorso basata sul superamento delle prove e sulla partecipazione. Nel corso dei quattro mesi di accelerazione chi non rimarrà al passo non potrà diplomare la propria startup. Chi riuscirà a portare a termine il percorso, avrà l’opportunità di accedere a un nutritissimo gruppo di mentor internazionali, di partecipare agli eventi di networking e di beneficiare del successo di tutte le startup tramite il Graduate Liquidity Pool. L’Istituto tiene per sé il 3,5% delle quote delle aziende che ha contribuito a creare. Queste azioni vanno per l’appunto in un graduate liquidity pool e vengono poi ridistribuite fra tutti coloro che partecipano al progetto: il 40% resta all’organizzazione, il 30% viene diviso fra organizzatori locali e mentor e il restante 30% fra tutti i founder. Le statistiche dicono che questi hanno in media 34 anni e già qualche esperienza professionale alle spalle. Nel 60% dei casi hanno capacità tecniche e negli altri sono focalizzati su business e prodotto.


Berlino regina delle start up

 

Nel 2011, 103 start-up internet hanno ricevuto finanziamenti da parte di venture capitalist in Germania. Un dato che batte quello di qualsiasi altro Paese, Stati Uniti e Cina compresi. Sono i i dati di Thomson Reuters.

Ma è Berlino, in particolare, a brillare di luce digitale propria. Dal 2008 a oggi, secondo i numeri della Camera di Commercio berlinese, sono state fondate 1.300 start-up internet di cui 500 solo nell’ultimo anno. Circa l’80% dei finanziamenti proviene da fonti internazionali.

Wooga, il più grande sviluppatore europeo di social gaming, ha annunciato un giro di finanziamenti da 24 milioni dollari guidato da una società del Massachusetts.

A novembre, la londinese Atomico, società di venture capitalist del co-fondatore di Skype Niklas Zennström, ha investito 4,2 milioni di dollari in 6Wunderkinder, un creatore di applicazioni di produttività come Wunderlist: consente di condividere liste fra i dipendenti di un’azienda.

Molte start-up si occupano di contenuti culturali. Gidsy, per esempio, è un mercato online dove acquistare esperienze offerte da persone comuni: visite d’arte guidate da graffitari locali, corsi di tango o di cucina. SoundCloud è una piattaforma di distribuzione di registrazioni audio che oggi vanta oltre dodici milioni di membri e che è anche una tra le più grandi storie di successo recenti, come dimostra l’ultimo giro di finanziamenti da dieci milioni di dollari provenienti da New York e dalla Svizzera.

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