Mirko Tomassoni, i Giochi di Londra e le incomprensioni con il CONS.
di Saverio Mercadante
“Anche nel momento in cui stiamo parlando si sta svolgendo un’assemblea a New York degli Stati che hanno firmato la convenzione ONU sulla disabilità adottata nel 2006. Nei cinque anni precedenti, le associazioni di volontariato di questi Paesi avevano lavorato alla redazione di tale convenzione. Voglio dire che da allora c’è stata un’evoluzione fortissima sulle tematiche inerenti alla disabilità, e tra queste anche lo sport. Londra, da questo punto di vista ha rappresentato un punto di svolta”. Mirko Tomassoni, presidente di Attivamente, componente della delegazione di San Marino in Montenegro in occasione della settima Conferenza dei Presidenti di Parlamento dei Piccoli Stati d’Europa, tenutasi dal 9 all’11 settembre, commenta lo straordinario evento delle Paralimpiadi di Londra: “Non s’è mai vista come in questa occasione tanta partecipazione della gente comune affascinata da questo evento. E c’è stato un lavoro della BBC straordinario. Le do un altro dato. In Cina furono distribuiti 2 milioni di tagliandi, la maggior parte dei quali però furono donati. A Londra, invece sono stati venduti, acquistati, 2 milioni e 700 mila biglietti. C’erano più di 4 mila atleti paralimpici e dietro ogni atleta c’è una storia di vita molto particolare.” “Christian Bernardi – racconta Mirko Tomassoni – è una di quelle persone che a 18 anni, dopo un incidente, si è ritrovato confinato ad una carrozzina in un’epoca in cui non c’erano le possibilità, le conoscenze, e gli ausili per fare sport che ci sono adesso. Abbiamo portato avanti un progetto delicato e di grande importanza intorno alle prestazioni sportive del nostro atleta che nell’ultimo anno e mezzo si è dedicato alla specialità del lancio del peso. Il nostro obiettivo: far capire che le persone disabili devono e possono avere la possibilità di fare lo sport nella filosofia a loro più congegnale. Sia per motivi ludici, amatoriali, ma sia anche, se c’è la forza, le motivazioni, a livello agonistico. E questo è il settore delle Paralimpiadi. A livello internazionale lo sport disabile si divide in due macro settori. L’altro è lo special olympics. Il primo oltre ad essere agonistico è aperto a tutte le forme di disabilità. Il secondo è invece rivolto solo a persone con disabilità mentale e non è agonistico. Ma questo non vuol dire che uno sia più importante dell’altro, sono semplicemente distinti. A San Marino non c’è molta chiarezza su questo. Si rischia di fare della confusione nella quale anche le persone che dovrebbero accedere a questo tipo di servizi capiscono poco e rischiano di essere mal serviti”. “Il problema con il CONS – analizza – riguarda il riconoscimento pubblico del lavoro fatto dal Comitato Paralimpico composto da volontari, da semplici cittadini. Il CONS poi pone un’altra questione: il Comitato Paralimpico non deve essere accreditato come se fosse un’altra federazione perché dovrebbe rapportarsi con l’IPC, il comitato paralimpico internazionale. Però dove non ci capiamo con il CONS è su un altro aspetto fondamentale. Ci dicono che a San Marino non ci sono i numeri, non ci sono i disabili che fanno sport. Allora, innanzitutto i disabili ci sono, è statisticamente provato. Sono in casa. Dobbiamo rivoltare la questione: quanto spende l’ente che gestisce lo sport per far sì che questi numeri emergano? Non viene speso niente. Se io non ho qualcuno, un’organizzazione, che mi spinge a uscire fuori di casa, che mi mette a disposizione una carrozzina che costa 3 mila euro, come possono esserci i disabili che fanno sport a San Marino? Nel caso di Christian Berardi, per esempio, per i suoi spostamenti c’è sempre bisogno assoluto di un assistente. Se non c’è questo tipo di assistenza da parte di uno Stato come fa ad emergere lo sportivo disabile?” Insomma, questa Paralimpiade – conclude Mirko Tomassoni – ha dato un’immagine, anche a San Marino, di vitalità straordinaria. Da quell’evento è arrivato un messaggio di enorme stimolo. E comunque, spente le luci delle Paralimpiadi, bisogna tornare alla difficile quotidianità della disabilità. Bisogna investire, essere presenti. Il riconoscimento può essere una quisquiglia formale, spero che si raggiungerà un risultato positivo, ma è un altro risultato importante per combattere l’indifferenza. Come c’è stata sino a pochi giorni dalle Paralimpiadi, dopo anni di lavoro. Il problema principale quello della conoscenza più che della volontà del fare”.