Intervista ad Amanda Sandrelli tra teatro, musica, amore, arte e famiglia. “Amo le note, anche grazie a mio padre. Disegnare? Non sono proprio capace”.
di Alessandro Carli
SAN MARINO – Edoardo Massimi è un medico di mezz’età, con una peculiarità molto particolare: legge il pensiero.
Il sogno di molti uomini e di molte donne (indimenticabile la pellicola con Mel Gibson, quel “What women want” che ha fatto capire agli spettatori che, spesso, è meglio non conoscere cosa passa nella mente delle persone che ci circondano) però si rivela essere un’arma a doppio taglio: si muove da questo ‘coro greco’ lo spettacolo “Non c’è tempo amore”, scritto, diretto e interpretato da Lorenzo Gioielli e passato al teatro Eugenio Pazzini di Verucchio qualche mese fa.
A dare ritmo, corpo e voce alla pièce, un cast da pedigree cristallino, composto da Amanda Sandrelli, Blas Roca Rey, Edy Angelillo e lo stesso Lorenzo Gioielli.
Prima dello spettacolo, abbiamo raccolto le parole di Amanda Sandrelli. Che ha parlato di teatro, di musica (suo padre è Gino Paoli, ndr) e di famiglia. Ecco cosa è uscito.
Di cosa parla lo spettacolo?
“Per Edoardo Massimi, costatata la dote che possiede, avere una relazione duratura è praticamente impossibile. Un suo vecchio amico, Rudy Sottile, un giorno va a farsi visitare perché sua moglie Gemma è convinta soffra di satiriasi (eccessivo appetito sessuale). Quest’ultimo effettivamente ama molto il mondo femminile e ha un’amante… Ma la sua situazione di Rudy è patologica o è comune a tutti i maschi quarantenni ? Nel frattempo Edoardo incontra, casualmente, una donna di cui non riesce a leggere il pensiero. Sembra finalmente che abbia trovato l’amore ma lei rifiuta di sposarlo, gettandolo nello sconforto. Gemma, intanto, si occupa della sua sconsolata amica Nora, le cui intense ma sfortunate relazioni sentimentali si concludono, al massimo, dopo tre mesi. E’ proprio di Rudy l’idea di far incontrare il dottor Massimi e Nora ad una cena in casa propria sperando avviare una conoscenza fra i due. Ma la serata non andrà esattamente come previsto e svelerà molti segreti che cambieranno per sempre la vita dei quattro personaggi. Una commedia brillante sul tema del sesso, del tradimento, dell’amore e di tutto quello che si è perduto e che nessuno può restituirci”.
Amore, sesso e tradimento, in chiave brillante. Manca qualche altro ingrediente?
“Nello spettacolo ci sono alcune cose particolari: amore ma anche scambi di coppie, però in maniera buffa, leggera. E’ uno dei topoi del teatro, costruito però su un gioco di situazioni che funzionano. In questo impianto scenico, si inserisce un linguaggio molto nuovo, diverso. In scena ci sono sempre tutti i personaggi, spesso in luoghi anche diversi. Dialogano, si incontrano, spesso abbattono la quarta parete e parlano con il pubblico. E’ uno spettacolo che sembra una giostra. Una signora, dopo una replica, mi ha detto: ‘All’inizio non sapevo bene dove guardare, poi però mi sono divertita moltisismo’. Il primo atto è un po’ più strano, più articolato, più lungo e forse anche un pochino più difficile. Il secondo è invece decisamente comico, imperniato su un gioco di equivoci dichiarati”.
Compito del teatro è anche quello di raccontare squarci di vita reale.
“Non è un lavoro generazionale: è sull’amore e sul tempo che va via e sfugge. Il protagonista è un ‘enne’: un’età in cui il cinismo diventa più intelligente e meno piacevole; un’età in cui le illusioni si rompono e l’idealismo si trasforma in cinismo. Non è uno spettacolo su di noi: è un grande ombelico, una visione di quello che stiamo vivendo e di come siamo messi. Racconta i malesseri di tutta l’umanità, e ci dice anche quali possono essere evitati”.
Platee di grandi città, palchi di borghi medievali come Verucchio: come cambia l’approccio allo spettacolo?
“Siamo molto affezionati a questo lavoro, che continua a cambiare sotto le nostre mani. In una delle ultime repliche sono usciti accenti più nostalgici, forse perché siamo a fine stagione. C’è sempre qualcosa di magico nei personaggi. Tempo fa accadde che ripresi uno spettacolo che avevamo fatto riposare. Ritrovai il mio personaggio molto cambiato rispetto a quando lo avevo lasciato: solo successivamente ho capito che era rimasto nella mia testa e aveva ascoltato le cose che nel frattempo mi erano accadute. Era cresciuto assieme a me. Noi occidentali siamo abituati che tutto passi attraverso la razionalità: cervello, parola, eccetera. e invece, qualche volta, ti accorgi che non è così. per quanto mi riguarda, il mio impegno non cambia in base alla platea. E’ certo però che lo spettacolo respira l’aria che lo circonda. E l’aria di provincia è molto più salutare di quella delle grandi città. Forse perché fuori dia grandi circuiti, il pubblico ha un rapporto con il tempo molto più rilassato. Verucchio è un borgo bellissimo: per noi è un paradiso”.
Che rapporto ha con le altre forme d’arte? Con la musica, per esempio…
“Il rapporto più forte è con la musica. Un rapporto che è antecedente alla recitazione. Ho sempre cantato e amato la musica: è un filo rosso che parte da mio padre (Gino Paoli, ndr), dalla sua musica, dalle sue parole e dalla musica che ascoltava. La musica è proseguita poi con il mio primo figlio, Rocco, che è musicista dall’età di due anni. E’ un melomane e mi ha fatto scoprire l’opera. La forma d’arte più lontana è il disegno: sono proprio negata. Mio marito invece proviene da una famiglia di artisti figurativi. Lui mi ha avvicinato a quello che non so fare”.