Home FixingFixing E’ una mattanza senza fine. Più fallimenti, più suicidi

E’ una mattanza senza fine. Più fallimenti, più suicidi

da Redazione

Tra lunedì e martedì sei persone si sono tolte la vita. OCSE: Italia nella top five dei default. I Comuni italiani si ribellano, interrompono il rapporto con Equitalia. Anche Riccione.

 

di Saverio Mercadante

 

Continuano i suicidi, continuano i fallimenti delle imprese. Tra lunedì e martedì altre sei persone si sono ammazzate. Ne avevamo già parlato ma ora è una mattanza. E mentre andiamo in stampa arriva un’altra notizia di un suicidio eccellente in qualche modo collaterale a quelli dei piccoli imprenditori. Perché i sindaci stanno insorgendo contro Equitalia, il tax mostro che suicida le persone. Maurizio Cevenini, in corsa nelle ultime elezioni di Bologna si è buttato giù dal Palazzo della Regione Emilia Romagna in via Aldo Moro. Ma questa è un’altra storia. Resta il fatto però che anche Riccione, insieme a tanti altri comuni ha deciso di interrompere il rapporto con Equitalia. Oltre alla Perla Verde, Sassuolo, Calalzo di Cadore (Belluno), Morazzone (Varese), Thiene (Vicenza) San Donà di Piave (Venezia), Vigevano (Pavia), Zanica (Bergamo) Merate (Lecco) sino a comprendere anche la Regione Piemonte. Hanno anticipato la scadenza naturale, hanno fatto il gesto dell’ombrello alla maggiore agenzia per la riscossione dei tributi, in anticipo rispetto al primo gennaio 2013. “Troppi casi di ingiustizia sociale. Manca il rapporto umano. Ora riscuoteremo noi l’incasso delle somme”. Intanto escono libri dal titolo “Resistere a Equitalia” che spiegano come difendersi dalla cartelle esattoriali, pullulano in Rete i siti dedicati a “Non pagare i debiti”, sistemi legali per non pagare i debiti quando non riesci a pagare. Sempre martedì la spiegazione statistica dell’origine di questo vento mortale da parte dell’Osservatorio Crisi d’Impresa del Cerved.

Nel primo trimestre 2012 i fallimenti delle imprese in crescita del 4,2% su base annuale. E’ il 16esimo trimestre consecutivo che i fallimenti volano verso l’alto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’analisi sul territorio del primo trimestre 2012 non lascio scampo: è come l’anno scorso, anzi di più. I default continuano a crescere in tutta Italia. Soli il Nord Est si salva: diminuzione dell’8,8% rispetto allo stesso periodo del 2011 grazie ai forti cali di fallimenti verificatisi in Veneto (-12,3%) e in Emilia Romagna (-12,2%). In crescita verticale nel Centro Italia (+12,7%), maggiore rispetto alla media nazionale nel Mezzogiorno e nelle Isole (+6,5%) e nel Nord Ovest (+4,9%). I default fanno strage particolarmente in un settore: le società di capitale, sono la forma giuridica in cui si concentrano quasi i tre quarti dei fallimenti aperti, soprattutto tra le aziende non in grado di depositare un bilancio valido tre anni prima della procedura (+13,2%) e tra le piccole imprese con un attivo compreso tra 2 e10 milioni di euro (+9,9%). Crescono ancora, seppure a ritmi non così vorticosi, le procedure tra le microimprese con un attivo inferiore a 2 milioni di euro (+2,5%) e tra le medie aziende con un attivo compreso tra 10 e 50 milioni di euro (+5,6%).

Sostenuto l’incremento dei fallimenti nell’edilizia (+8,4% rispetto ai primi tre mesi del 2011); l’insolvency ratio (misura il numero di procedure aperte su 10 mila imprese operative nel settore) si attesta a 8,3 punti. A conferma che la crisi ha la coda lunga arriva un rapporto dell’OCSE. L’Italia nella top five dei fallimenti nel 2010. Il numero di fallimenti tra le piccole e medie imprese italiane nel 2010 è aumentato a 11.289, pari a 20,3 casi ogni 10.000 aziende esistenti, contro 9.429 nel 2009 (17,1 ogni 10.000) e 6.165 nel 2007 (11,2 ogni 10.000). L’Ocse, nel suo primo rapporto sulle condizioni di finanziamento delle PMI, sottolinea come l’Italia sia uno dei cinque Paesi su 13 esaminati nel rapporto, in cui il numero di fallimenti ha continuato ad aumentare anche tra il 2009 e il 2010, insieme a Ungheria, Slovacchia, Svizzera e Danimarca.

“La debole ripresa economica nel 2010 – si legge nel rapporto – non ha permesso un miglioramento significativo nelle condizioni delle aziende, come dimostra l’aumento ancora rapido dell’indicatore”.

“Il calo delle vendite e l’irrigidimento delle condizioni di credito hanno contribuito a problemi di cash flow per le Pmi – spiega l’Ocse – che a loro volta si sono in parte tradotti in aumenti dei tempi di pagamento. D’altra parte, dopo lo scoppio della crisi, i fornitori hanno cominciato a chiedere pagamenti più rapidi: per le Pmi, i tempi sono saliti da 15 giorni nel 2008 a 17 nel 2009”. Come dire: piove sempre sul bagnato.

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