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Vi diciamo cosa si cela dietro il roboante referendum “salva stipendi”

da Redazione

Scala mobile bn

Vi diciamo cosa c’è dietro il roboante referendum “salva stipendi” della Cdls. Che altro non è che la scala mobile chiamata diversamente per ovvi motivi, uno spottone strumentale come si evince semplicemente leggendo il testo del quesito.

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di Loris Pironi

 

Mentre le parti sociali continuano con senso di responsabilità a incontrarsi – mantenendo giustamente un basso profilo e senza dare pubblicità alla cosa – per sbloccare finalmente la situazione e giungere a una sintesi che porti alla sospirata firma sul rinnovo del contratto industria, la Confederazione Democratica dei Lavoratori lancia la sua campagna mediatico-promozionale, che si basa su un unico grande spottone: il referendum.

Un referendum, dobbiamo ammetterlo, che è stato lanciato con grande perizia massmediatica: stiamo parlando infatti del “Referendum Salva Stipendi”. Roba tosta, alla Beppe Grillo per intendersi. E come si fa a dire di no a un’iniziativa che pretende di “salvare” gli stipendi dei lavoratori dipendenti?

Peccato che dietro questo astuto slogan altro non ci sia che la reintroduzione della vecchia scala mobile, che era stata messa in cantina anni fa perché si era scoperto che aveva controindicazioni pericolose (ad esempio, era un generatore di inflazione). Poi che i promotori dopo aver pubblicamente annunciato a gran voce l’intenzione di tornare alla scala mobile adesso abbiano fatto dietrofront e ora sostengano che non si tratta di questo bensì di una semplice “protezione temporanea” è comprensibile. Non fosse altro che il referendum sulla scala mobile è stato proposto una manciata di anni fa ed è stato rigettato dai cittadini sammarinesi che non hanno fatto raggiungere il quorum.

Il fatto che sia uno spottone strumentale lo si capisce chiaramente anche solo leggendo il testo del quesito referendario, che chiede di agganciare le retribuzioni dei lavoratori dipendenti all’inflazione solo “fino al rinnovo dei contratti collettivi di lavoro”. L’intento è ovvio: utilizzare lo strumento del referendum per fare pressione sfruttare la raccolta delle firme per avere un maggior peso specifico nella trattativa.

Teoricamente poi (ma l’auspicio è che sia così anche in pratica), si potrebbe arrivare a superare l’argomento prima ancora che i Garanti diano il proprio parere favorevole al referendum. Poi è ovvio che il discorso deve essere rivolto a un quadro più generale e dunque il Comitato promotore chiede di far scattare il meccanismo ogni volta che un contratto giunge a scadenza, ma l’intento di guardare all’oggi, alla trattativa in corso, pare evidente.

Che ci sia qualcosa che non funziona, in questo referendum, ce lo dice un altro piccolo ma non trascurabile particolare: è stato bocciato clamorosamente dalle altre due sigle sindacali, a partire dalla Csdl, che ha prontamente detto di non voler abdicare dal proprio ruolo di parte sociale, lasciando ad un semplice meccanismo tecnico il compito di agire a favore dei lavoratori. Sempre poi che un salario agganciato all’inflazione sia la cosa migliore per il lavoratore: discorso inflazione a parte, in un’epoca di profondi cambiamenti magari questo non è tutto. Magari è meglio garantire a chi lavora diritti che entrino nella modernità, che siano al passo con i tempi. Magari occorre incominciare a ragionare su quello che deve essere il primo e unico punto di un nuovo manifesto del lavoro: se si soffocano le imprese sino a lasciarle morire – così è stato fino ad oggi – non si potrà più parlare di diritti dei lavoratori. Per il semplice fatto che non ci sarà più lavoro, né lavoratori da tutelare.

Detto questo anche se il referendum sarà approvato, anche se i cittadini voteranno a favore, ciò non toglie che il vero nodo di questo rinnovo contrattuale sia la mancanza di competitività del sistema. È su questo che si gioca la partita, non su una manciata di euro in più nelle tasche di chi il lavoro per il momento ce l’ha ancora. Anche questo è un ragionamento improntato alla modernità, che ci piaccia oppure no.

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