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Svezia, il welfare al servizio di flessibilità e mobilità

da Redazione

E’ il Paese che cresce di più in Europa. Eppure fa pagare le tasse più alte dopo la Danimarca. Nonostante il forte stato sociale, lo spread tra titoli di stato e bund è intorno allo zero.

 

di Saverio Mercadante

 

Un paese dove le tasse sono tra le più alte del mondo, eppure i cittadini sembrano accettarle senza troppe riserve. Un paese che ha avuto il 70,3% nel 2010 di occupazione femminile, tra i più alti d’Europa: la media OCSE tocca il 56,7%, l’Italia il 46,1% e la Germania il 66,1%).

Un paese dove il 76% delle madri svedesi riesce ad avere un lavoro dopo che i figli iniziano la scuola.

L’uguaglianza tra sessi accrescendo le competenze e le capacità dà una spinta decisiva alla crescita economica. Un welfare che mette in grado di spostare quasi senza colpo ferire nella vita delle persone un lavoratore da un settore in calo a quelli in ascesa. Dunque, flessibilità e mobilità. Un paese dove vive, Anders Borg, “miglior ministro delle finanze d’Europa” secondo il Financial Times.

E’ la Svezia, che sulla crisi degli anni ’90, ha rischiato di distruggere un sogno avverato modello per tutto il mondo, e lo è ancora, si è rifondata e vola rispetto agli altri stati del mondo occidentale avanzato: per la maggior parte arrancano.

Nel 2009 le entrate fiscali hanno rappresentato il 46,4% del PIL, un dato inferiore solo a quello della Danimarca (48,2%) ma superiore a quello dell’Italia (43,5%).

La Svezia è il quattordicesimo posto migliore al mondo per fare affari (la Germania è ventiduesima, l’Italia ottantesima). Nell’indice di creatività economica è quinta, quarta per competitività globale. Nella FT Global 500 2011, graduatoria delle cinquecento società più capitalizzate del pianeta, la Svezia ha dieci aziende: H&M e Volvo; banche come Nordea, colossi come Ericsson. E il welfare aiuta, eccome. Rende il sistema più flessibile: giova all’economia perché la gente si sente sicura, è più preparata ad accettare il cambiamento. Più mobilità: i lavoratori accettano il rischio di trasferirsi, o di provare un nuovo lavoro, perché il sistema di welfare consente di rimanere disoccupato per un certo periodo. Il welfare universalistico, malgrado i tagli e le riforme, resta generoso. La Svezia è ancora uno dei paesi migliori al mondo dove vivere. E’ ottava nella classifica globale dell’indice di sviluppo umano. Secondo la Better Life Initiative dell’Ocse, “la Svezia fa eccezionalmente bene quanto a benessere generale, come dimostra il fatto che è tra i migliori Paesi in un grande numero di voci del Better Life Index”.

L’83% dei residenti è soddisfatto della propria vita, contro una media OCSE del 59 per cento. Il regno svedese è uno dei Paesi meno diseguali al mondo. In Europa solo la Danimarca fa meglio.

Ma la tenuta della classe media non sembra però impedire l’arricchimento individuale: nella lista dei miliardari di Forbes ha 11 rappresentanti. Ma i dati più importanti sono altri: investe in istruzione il 6,6% del proprio Pil, oltre un punto e mezzo in più dell’eurozona. L’università è gratis, non solo per gli svedesi, ma per tutti i cittadini europei. È il quarto miglior posto al mondo dove essere madri, l’aspettativa di vita è tra le più alte del pianeta, le infrastrutture sanitarie sono ottime.

Nel 2010 è stata l’economia che è cresciuta di più in tutta Europa: +5,7%. Tra il 2003 e il 2008, secondo le statistiche de The Economist, la crescita media annuale del Pil svedese è stata pari al 2,8%. Più della Germania (+1,8%), del Regno Unito (+2,2%) o degli Stati Uniti (+2,4%).

La Svezia non è stata colpita così duramente dalla recente crisi finanziaria, in parte a causa delle riforme varate dopo la crisi dei primi anni Novanta. La rete di sicurezza sociale ha funzionato impedendo che la distruzione di posti di lavoro riducesse i consumi. Il settore immobiliare, è rimasto forte: qui il valore delle case non ha smesso di salire. Le aziende stanno continuando a investire e a crescere in vari settori.

Nel 2011, secondo le stime del Fmi, il tasso di crescita svedese avrebbe toccato il 4,4%. Nel 2012 dovrebbe essere oltre il 3,8%, ma è un dato vecchio di sei mesi: non tiene conto dell’aggravarsi della situazione economica europea. La crescita della Svezia sarà probabilmente “lieve”. La crisi comunque penalizza anche la Svezia con una disoccupazione piuttosto alta, specialmente quella giovanile. Ma la direzione per risolverla sembra opposta al rigorismo imperante in Europa, e per molti suicida, a cominciare da Paul Krugman, premio Nobel per l’economia. Non si pensa ad alzare le tasse o ad espandere ulteriormente il settore pubblico. Si punta invece su istruzione e flessibilità per potersi adattare alla competizione internazionale in continuo cambiamento. E nonostante questo paradiso del welfare i mercati si fidano della Svezia: lo spread tra titoli di stato decennali svedesi e bund omologhi  si colloca intorno allo zero.

 

La falce della recessione sul welfare

 

Dalla Grecia all’Italia, nel Vecchio Continente l’austerity ha bruciato 230 miliardi di spesa sociale.

I tagli alla spesa sociale greca per il 2011 superano i 25 miliardi di euro, a fronte di un Prodotto interno lordo (Pil) che nel 2010 si attestava a 242 miliardi di euro: di fatto il 10% della ricchezza nazionale. In Portogallo nel 2012 quasi un miliardo di euro in meno alla sanità.

Irlanda: più della metà dei tagli nel sociale. Il piano di rientro del debito deciso nel 2011 prevede una riduzione delle uscite per 7 miliardi. Italia: 21 miliardi in meno al welfare.

In Spagna scure su sanità ed educazione per portare all’erario altri 10 miliardi di euro.

In Francia il piano dell’Eliseo prevede una riduzione della spesa di 65 miliardi entro il 2016, grazie soprattutto alla massiccia riduzione dei dipendenti della pubblica amministrazione.

Un taglio di 100 mila unità, di cui 30 mila concentrate nel settore dell’istruzione. Quattro miliardi nel settore della funzione pubblica e sette miliardi di tagli al welfare annunciati nel 2011. Invece l’obiettivo del governo conservatore di David Cameron è tagliare circa 30 miliardi di sterline (36 miliardi di euro) di welfare, un impatto pari a circa il 10% del budget.

La cifra potrebbe però potrebbe salire se si conta che l’esecutivo ha chiesto ai ministeri di ridurre le uscite del 19%. Anche il governo di Angela Merkel ha programmato una stretta alla spesa pubblica di 80 miliardi entro il 2014, che include 30 miliardi di tagli al welfare e la cancellazione di 15 mila impieghi pubblici.

E in Svezia, ringraziano ancora quella crisi degli anni Novanta.

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