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Kazakistan, ultimo paradiso per petrolio e gas

da Redazione

Germania, USA e Gran Bretagna corteggiano il Presidente Nazarbayev e il Premier Masimov. Soltanto l’anno scorso l’Italia ha importato greggio per oltre 3,5 miliardi di euro.

 

di Saverio Mercadante

 

Tutti vogliono andare a visitare Astana, la capitale del Kazakistan. Tutti vogliono fare due chiacchiere con il presidente Nursultan Nazarbayev e con il premier Karim Masimov. Tutti vogliono il petrolio. E il gas. Come Mario Monti che ha fatto scalo tecnico “d’importanza politica” nell’ex repubblica sovietica prima di continuare la sua lunga trasferta in oriente. Ha detto prima di ripartire che “dobbiamo proseguire sempre con maggiore attenzione” nei rapporti tra i due Stati. E si capisce abbastanza bene il perché: soltanto l’anno scorso l’Italia ha importato greggio kazaco per oltre 3 miliardi di euro e mezzo (un miliardo in più rispetto al 2010). L’Eni la fa da protagonista. È dal 1992 che l’azienda italiana opera in Kazakistan. E’ operativo su due importanti progetti a Karachaganak, per il gas soprattutto, e a Kashagan. E’ un gigantesco giacimento di petrolio nel mar Caspio. E’ considerata il più grande degli ultimi decenni. I costi iniziali per lo sviluppo sono lievitati dai sessanta miliardi di dollari iniziali ai quasi 200 attuali dopo la ridefinizione delle quote del consorzio. La compagnia italiana dovrebbe avviare la produzione per la fine dell’anno. L’Eni è nel consorzio che sviluppa il giacimento petrolifero, il North caspian sea production sharing agreement. Oltre a Eni vi partecipano la compagnia di Stato KazMunaiGas e le compagnie internazionali Total, Shell e ExxonMobil,  oltre alla ConocoPhillips e Inpex. Karachaganàk è invece uno dei giacimenti di gas più grandi al mondo: nel consorzio con Eni e British Gas, Chevron e Lukoil, di recente è entrata la kazaka KazMunaiGas. Oltre all’Italia  i maggiori partner di Astana sono Usa e Gran Bretagna. Anche Berlino in febbraio ha strizzato l’occhio al Kazakistan. La Germania ha troppo bisogno di materie prime: una decisa realpolitik guida la strategia di Angela Merkel, nonostante le molte contestazioni per rapporti che sono considerati troppo stretti per i metodi brutali che vengono usati contro qualsiasi tentativo di opposizione. Lo scorso dicembre è stata repressa nel sangue, sedici morti, la protesta dei lavoratori di un’azienda petrolifera che chiedevano un aumento di stipendio.  Ma Angela Merkel non ha nemmeno accennato all’episodio quando ha ricevuto in febbraio il presidente dittatore Nursultan Nazarbayev, passato senza soluzione di continuità dal comando dell’ex partito comunista alla guida del suo paese in salsa simil democratica. Aveva evidentemente ben presente l’ultimo rapporto dell’Agenzia tedesca per le materie prime (Dera), riferito al 2010, che ha valutato in 109 miliardi di euro il volume di importazioni tedesche. I termini dell’accordo mostrano la vastità della collaborazione fra i due Paesi. Il risultato dell’accordo sono stati 50 contratti per un valore complessivo di 4 miliardi e mezzo di euro. In cambio del comune sfruttamento delle risorse e dei conseguenti profitti, gli imprenditori tedeschi si sono  impegnati a fornire contributi per l’industrializzazione del Paese centro-asiatico. Ma l’Orso Russo è sempre alle porte e non cederà tanto facilmente la sua influenza in quella regione nella rinnovata veste di superpotenza globale. In febbraio una eccellente mossa diplomatica. Ha fatto entrare nell’Unione doganale l’accordo di libero scambio a tutt’oggi ex sovietico (con Kazakistan e Bielorussia), entrato in vigore dal 1 gennaio di quest’anno, la Nuova Zelanda: darà una bella lucidatina a quella  patina da ex impero URSS accrescendone la statura internazionale. Il sogno di Putin è quello di una sorta di Unione dell’Est che porti nel giro d’influenza russa la maggioranza delle ex repubbliche sovietiche. A presto dovrebbe entrare nell’Unione. Il Kirghizistan. La Russia preme moltissimo sull’Ucraina troppo sbilanciata verso l’Europa. Dopo arriveranno anche le altre. Tra Europa, Asia e Oceano Pacifico, la versione post muro della Russia di Putin tornerà a brillare su immensi territori.

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