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San Marino, Commissione Finanze: l’esame della riforma tributaria

da Redazione

Sul tavolo anche la proposta di legge del Partito socialista riformista sammarinese per l’introduzione del quoziente familiare.

 

La seduta della commissione Finanze è ripartita dal dibattito sull’esame della riforma tributaria messa a punto dal governo e sulla proposta di legge del Partito socialista riformista sammarinese per l’introduzione del quoziente familiare. A fine dibattito, dopo la replica del segretario di Stato per le Finanze, Pasquale Valentini, la seduta è stata sospesa per permettere ai consiglieri di cercare un accordo su un ordine del giorno condiviso. Al termine della pausa il consigliere di Alleanza popolare, Roberto Giorgetti, annuncia che verranno sfruttati i giorni che mancano alla prossima convocazione della commissione, fissata per giovedì 12 aprile, per cercare di arrivare a un odg condiviso. In alternativa verranno proposti più testi.

 

Di seguito un riassunto dei lavori.

 

Vanessa Muratori, Su (intervento durante il comma Comunicazioni della mattinata): “Sull’organismo che si deve occupare della riduzione della spesa corrente, a supporto del governo, ho il timore che sia un commissariamento della Pa e vorrei capire cosa significa. Che il disavanzo pubblico è dovuto solo alla Pa? Intanto non si assumono educatori e si danno milioni di euro alle banche. Servono chiarezza e un confronto serio. Non ho nessuna intenzione di sostenere una riduzione chirurgica decisa da altri”.

 

Roberto Giorgetti, Ap:“Ritengo una scelta giusta affrontare il nodo della riforma fiscale in questo momento per diversi motivi. Soprattutto perché la riforma fiscale non è solo definibile nella pressione fiscale, nel livello di contribuzione che chiediamo agli attori economici del Paese per sostenere un’amministrazione dello Stato. Non si parla solo di chiedere soldi, ma di ridisegnare un sistema complessivo che deve regolare una serie di rapporti con attinenza all’interno e all’esterno. Il sistema fiscale passato si reggeva su una serie di fonti di entrate per lo Stato che sono state fortemente ridimensionate, perché la realtà intorno a noi è cambiata e tutti i Paesi devono coniugarsi con la realtà internazionale più ampia. Non potevamo quindi presentare un percorso nuovo e credibile senza accompagnarlo dalla riforma fiscale. E questo implica il discorso di contribuzione e di equità, ma anche dare il segnale di un Paese che deve cambiare pagina e sostentarsi in modo diverso da un quadro che non è più riproponibile”.

 

Angela Venturini, Udm: “Lo Stato non si regge con un’imposizione media del 6% e un sistema fiscale basato su discriminanti. I lavori dipendenti pagano tra l’1% e il 3%; le imprese hanno agevolazioni; i lavoratori autonomi godono del forfettario. Le entrate hanno subito un tracollo per cui occorre mettere mano alla situazione, ma la riforma non è una toppa, è molto di più sia per la valenza sociale che ha in termini di equità, sia come strumento di sviluppo. Sviluppo che nel passato si è velato di mafia, ma ora abbiamo capito che va riscritto. Non possiamo però rinunciare alla basa fiscalità, per cui dobbiamo consolidare le entrate; mentre la spesa pubblica è ai massimi livelli per cui occorre intervenire. Nella riforma mi piace il valore dato alle famiglie e il sistema di accertamento e controlli. In questo senso occorre aggiornare l’Ufficio tributario, parificandolo all’Agenzia delle entrate italiana”.


Federico Pedini Amati, Psrs: “Il Fmi nella sua dichiarazione conclusiva mette in evidenza che le nostre aliquote contributive sono molto più basse della media europea e fa emergere l’urgenza di alzarle. Con la riforma si segue invece una sostituzione delle aliquote progressive con tre scaglioni dal 15% al 35%. Di conseguenza, sui redditi più elevati c’è un abbattimento di 15 punti percentuali dell’imposta. Secondo i nostri calcoli, un reddito di 100 mila euro andrebbe a pagare un’imposta più bassa rispetto al sistema vigente. Più precisamente, dal 35% al 17 %. Non ci pare così rispettato il principio di equità fiscale. Abbiamo chiesto poi proiezioni al governo sugli effetti della riforma e vorremmo venisse smentita questa preoccupazione che chi produce reddito più alto si trovi a pagare una quota più giusta. Rispetto alla nostra proposta di legge, entrando nel merito della riforma, avremmo preferito l’introduzione del quoziente famigliare che garantisce una maggior equità e tutela delle famiglie più numerose. Nella riforma che stiamo discutendo si può fare meglio anche nella parte del contenzioso tributario. Stiamo ragionando all’interno del gruppo lavoro del partito di presentare emendamenti su questo punto, per tutelare i cittadini di fronte a contestazioni non condivise. L’ufficio tributario viene ad assumere una dimensione vicina all’Agenzia delle entrate italiana. Sotto un certo punto di vista ci può stare, ma c’è ulteriormente la necessità di tutelare i diritti del contribuente. Sarebbe così stato opportuno rivedere anche la normativa del contenzioso tributario”.

 

Nicola Selva, Upr: “Si condividono i temi in discussione, ma il confronto deve essere anche sui contenuti, non solo sui tempi. La riforma tributaria è uno dei nodi più pressanti e deve tenere conto della situazione economica e sociale che vive la nostra Repubblica, non solo del quadro internazionale. E’ fondamentale salvaguardare la competitività del sistema economico, tenendo conto che decine di capifamiglia sono senza lavoro. Nella riforma tributaria viene affrontata la questione della tassa etnica, vengono introdotti nuovi scaglioni, eliminato il forfettario e aumentate le detrazioni per i carichi familiari. E così si realizza un aumento medio della pressione fiscale. Poi ci sono la minimum tax per le aziende, la Smac per fini fiscali, la tassazione dei redditi all’estero, interventi che vanno bene analizzati. Servono inoltre controlli efficaci, ma come si realizza il potenziamento dell’Ufficio tributario? Ancora: negli ultimi tre bilanci abbiamo perso 100 milioni di euro e non c’è un progetto economico di sviluppo. Dove troviamo le risorse per riequilibrare il bilancio? Dalla lotta all’evasione? Ma gli utili saranno comunque sempre meno. Mi sembra che i conti non tornino”.

 

Ivan Foschi, Su: “Vorrei correggere il segretario di Stato quando dice che il Fondo monetario approva questa riforma. Un conto è dire che ci suggerisce dei principi, altro è dire che la riforma raggiunge determinati obiettivi. Bisogna poi vedere se l’adeguamento maggiore sia sul reddito del lavoro dipendente, e se non c’è sui lavoratori autonomi. Insomma, se c’è equità. Rimango perplesso sulle aliquote, si paga in maniera progressiva, possiamo convenire che non si deve arrivare a percentuali alte nemmeno su redditi alti, però non condivido che le aliquote vengano ridotte. Le spese di produzioni reddito non sono solo un beneficio per il dipendente, ma un meccanismo per recuperare fiscal drag. In un momento come questo, di crisi, comprimere la capacità del consumatore non sarà positivo per la ripresa dei consumi interni. Sul passaggio Iva, prima di fare una scelta definitiva, penso sia necessario accertare l’incidenza del meccanismo. Oggi leggo con troppa enfasi la notizia sui giornali dell’introduzione del reato di evasione fiscale. La soglia di applicazione di 75 mila euro in un esercizio commerciale presuppongono un’imponibile da più 100 mila euro. E’ una soglia troppo alta e resterà teorica. Per far scattare poi la frode fiscale è stata messa la soglia di 120 mila euro. Così, se non scatta la punibilità penale, il nostro tribunale non può intervenire. E’ un provvedimento dimezzato, inefficace e creerà problemi con l’Italia. Poi, abbiamo gli strumenti adeguati per compiere gli accertamenti amministrativi? Sarebbe opportuno introdurre il penale da subito, così da consentire l’intervento del Tribunale, altrimenti si rischia di non arrivare mai alla definizione del procedimento”.

 

Stefano Macina, Psd: “Ci sono due elementi su cui focalizzare l’attenzione: da un lato occorre vedere se si può mantenere una fiscalità leggera; dall’altro occorre garantire la certezza delle norme, molto importante per le imprese. Il progetto di legge affronta in maniera appropriata alcune situazioni e fa la scelta di non aumentare le imposte. Una cosa che rimane da verificare è il rapporto tra Fisco e contribuenti, che deve essere dialettico e costruttivo, in modo da eliminare i contenziosi. Qualche dubbio c’è anche sulla funzione intermedia tra Ufficio tributario e Magistratura. Occorre infine chiarire la questione della Smac e delle deducibilità”.

 

Vanessa Muratori, Su: “Ritengo che in questa riforma l’equità sia assente. Ci può essere semplificazione, ma non equità. I lavoratori dipendenti sono gli unici a pagare l’aliquota dovuta, tutti gli abbattimenti non sono compensati dalle detrazioni per il carico famigliare e dalle spese in Repubblica: è una compensazione solo parziale. I dipendenti mal sopporterebbero un aumento della pressione fiscale, a fronte del fatto che le tasse le hanno sempre pagate. Questa riforma fiscale, con le proiezioni fornite, non ci porta poi al pareggio di bilancio che si vuole avere nel 2013. Allora occorrerà intervenire sulle imposte indirette che colpiscono tutti indifferentemente. Le aliquote più alte rimangono quelle per il lavoro dipendente, per le altre attività produttive si arriva al massimo al 17%, non al 35%. C’è una contraddizione forte su quanto dichiarato dai contribuenti e il loro tenore di vita. Se quindi risulta condivisibile la tendenza a eliminare il forfettario, non vorrei che si colpisse solo la parte della produzione del reddito dei lavoratori. Il mio auspicio è che sia fatta una compensazione”.

 

Gian Carlo Capicchioni, Psd: “L’impianto del progetto di legge è quello che abbiamo già esaminato. È necessario e un testo unico sarà utile agli addetti ai lavori. Ma quali sono i dati di riferimento? Se sono quelli del 2008, pre-crisi, non va bene. Siamo convinti poi che i 15 milioni che si conta di recuperare bastino per l’obiettivo del pareggio di bilancio? E’ difficile sostenere che la pressione fiscale non aumenta e chi contribuisce di più fa parte della fascia media. Sono infatti esenti i redditi da pensione minima. Ho inoltre perplessità sulla rendita catastale, sui redditi da fabbricato, su alcune detrazioni, sull’avviamento, sulle plusvalenze e sul piano di sviluppo, che non vedrei inserito in questa legge. Bisogna inoltre chiamare in causa le associazioni di categoria per favorire una sorta di patto fiscale con l’amministrazione, altrimenti sarà difficile fare emergere i redditi. Infine, occorre chiarezza e maggiore precisione sui controlli e sul ruolo dell’Ufficio tributario”.

 

Marco Gatti, Pdcs: “La norma dovrà essere approfondita e verificata, perché può spostare degli obiettivi, ma gli indirizzi che erano stati dati, di andare verso una maggiore equità e verso un contesto economico cambiato, per mantenere servizi pubblici di eccellenza, credo che siano stati poi conseguiti. Oggi stravolgiamo il sistema, il cittadino deve dichiarare tutti i redditi percepiti rispetto a ogni Paese e anche tutte le politiche sociali dovranno essere più mirate. I redditi di partecipazione dovranno essere dichiarati e per me questo è punto qualificante. Poi condivido l’approfondimento fatto sulla tassazione del reddito familiare per riconoscere al nucleo determinate detrazioni. Oggi abbiamo molte famiglie in disagio, per separazioni, e i costi si moltiplicano. Qualora nasca un contenzioso con l’Ufficio tributario, è possibile per il contribuente espletare tutti i gradi di giudizio senza avere danni patrimoniali irreversibili. La riforma presta attenzione su diversi aspetti, da un lato l’inasprimento delle pene e la revisione del contenzioso; dall’altro c’è grande attenzione per i diritti del contribuente. Non possiamo infatti chiedere al cittadino di contribuire e poi avere una spesa non controllata. Oggi dobbiamo renderci conto che per mantenere il livello sociale per cui tutti ci siamo battuti, quello che i cittadini danno deve venire poi ripagato”.

 

Massimo Cenci, Nps: “Mi voglio complimentare con il segretario di Stato per come ha portato avanti la riforma, mi riferisco in particolare al tavolo di lavoro con tutte le rappresentanze consiliari. Il Fmi ci ha detto che abbiamo una fiscalità molto bassa e una spesa alta per la Pa, e ci ha ricordato che le due cose insieme non sono sostenibili. Oggi sono due problemi da risolvere in tempi brevi. Ci troviamo di fronte a due strade. Una facile che accontenta tutti e non risolve i problemi. Poi una seconda, meno facile, che è quella di impegnarci per raggiungere obiettivi nostri e in secondo luogo quelli dell’Fmi che, in sostanza, ci dice di avere un po’ più di coraggio. Questa è una riforma non rinviabile, non perché lo chiede il Fondo o le associazioni di categoria, ma perché lo riteniamo noi, malgrado la crisi. Quando è stata fatta la vecchia riforma nel 1984 c’era un’altra economia, le imprese contribuivano e oggi non è così. Come tutte le volte che si fa una riforma fiscale, nel breve periodo successivo all’entrata in vigore occorrerà fare dei correttivi. Sull’ufficio tributario qualcuno ha detto che comincia ad assomigliare all’Agenzia delle entrate. Lo ritengo un auspicio”.

 

Pier Marino Mularoni, Upr: “Il progetto di sviluppo andava fatto prima, ma abbiamo perso tempo tra dibattiti e odg. La riforma fiscale è un vestito che va tagliato su misura allo sviluppo e deve dare un’idea vera di equità. I cittadini ora non hanno questa impressione e infatti i furbetti hanno evitato l’addizionale. Il Fmi dice che abbiamo una fiscalità bassa per cui serve il coraggio di fare le scelte. Noi ci stiamo, ma servono impegni precisi: l’obiettivo è salvare il Paese, altro che il pareggio di bilancio nel 2013. Sul ruolo dell’Ufficio tributario: la riforma deve affrontare i temi del contenzioso fiscale e dei controlli. Ma le risorse ci sono? Così com’è l’Ufficio tributario non è in grado di svolgere quei compiti: servono strutture e professionalità”.

 

Pasquale Valentini, segretario di Stato per le Finanze, replica: “Cerchiamo di fare uno sforzo
tutti per una visione realistica dei dati, altrimenti continuiamo a dare un’immagine distorta, quando si dice che siamo intervenuti solo sui lavoratori dipendenti e si ripetono i soliti slogan. Siamo partiti da un esame dei numeri da cui sono emerse sacche di non contribuzione, anche importanti. Non è vero che l’unica contribuzione è dei dipendenti: circa 20 milioni di euro deriva da loro, ma il doppio, 40 milioni, arriva dalle imprese. Dai lavoratori autonomi giungono 2 milioni e mezzo. E se facciamo una media viene fuori che il dipendente versa mille euro in media, un autonomo tre mila e passa, più del triplo. I dati, per quello che valgono, ci dicono questo. E alla luce di questi lo sforzo del progetto di legge, riconosciuto dalla maggior parte degli interventi, è teso a fare emergere fasce di non contribuzione e a non avere una differenza così evidente tra quanto dichiarato e la contribuzione. Credo si possa fare molto per migliorare il livello di equità, ma pensare di avere una bacchetta magica sarebbe una presunzione. Al consigliere Muratori dico di guardare bene le aliquote. Nella nuova impostazione per redditi fino a 14 mila euro si paga zero, ed è possibile per un abbattimento forfettario minore. Il discorso sulle fasce alte è vero, il massimo dell’aliquota è 35% e non più 50%, ma parte per una fascia più bassa. La parte relativa al diritto del contribuente è stata molto curata in quanto si cerca di eliminare il contenzioso e di consentire al contribuente di poter avere continuamente una possibilità di dialogo con l’Ufficio tributario. Sull’evasione la gradualità è giusta, altrimenti ci sarebbe una concezione criminosa di qualsiasi infrazione, in buona e cattiva fede. L’entità delle violazioni deve avere un certo peso per far scattare il penale. Un argomento ricorrente è quello della mancanza di un piano di sviluppo, che non è a tema con la riforma. Comunque l’articolato contiene alcuni incentivi in modo che non venga l’idea che si vuole porre un freno allo sviluppo economico. La chiarezza e semplicità delle norme, la sburocratizzazione delle procedure e la certezza del diritto per il contenzioso sono tutti elementi importanti per chi deve fare investimenti. Sono elementi per consentire la loro programmazione e valutare la stabilità del Paese e la sua competitività”.

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