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Fokker, di Loris Pironi. Un racconto per i lettori di SanMarinoFixing.com

da Redazione

Fokker-triplano.jpgDirettamente dalla Terza Pagina di San Marino Fixing, pubblicato sul numero 6 del 2012, un racconto in esclusiva per i lettori di www.sanmarinofixing.com, “Fokker”, di Loris Pironi. Con introduzione della scrittrice Simona Bisacchi Lenic.

Fokker-triplano

 

Qualche anno fa l’Istituto Regionale per i beni culturali organizzò un concorso di scrittura intitolato “6.000 caratteri per un museo. Luoghi d’incontro e nuove narrazioni nei musei dell’Emilia Romagna”. I partecipanti furono ben centosessanta, provenienti da tutta la regione, e il compito di selezionare i vincitori spettò a una giuria di esperti. Tra i quindici premiati compare il racconto di Loris Pironi – allora redattore di un quotidiano, oggi direttore di San Marino Fixing – che per l’occasione scrisse Fokker, storia ambientata al Museo dell’Aviazione di Cerbaiola. Elementi fantastici e note storiche si intrecciano in questa favola contemporanea, che racchiude una trama romantica e sfuma nel mistero.

Simona Bisacchi Lenic

 

 

Bene, questo racconto è stato rispolverato proprio in questi giorni e pubblicato sulla Terza Pagina di Fixing, nello spazio che abbiamo deciso di dedicare al buon vecchio feuilleton.

 

 

Fokker (di Loris Pironi)

 

Era la mattina del 20 giugno quando un pullman di ragazzi e ragazze provenienti da Colonia lasciò la piccola pensione nel centro della zona di Marina per una visita di mezza giornata, inclusa nel pacchetto-vacanza, al Museo dell’Aviazione, appoggiato quasi per caso su un lato della Superstrada che porta verso le tre penne arroccate sul monte simbolo della Repubblica di San Marino.

Vocianti e irrequieti, i ragazzi si aggiravano tra le armi contraeree scambiandosi battute ad alta voce, fino a quando una nuova ed evanescente curiosità li portò a scoprire i vari modelli di aerei militari e civili esposti sul lato della collina che guarda la Superstrada. E furono altri schiamazzi. La guida si terse il sudore con un fazzoletto pensando alla fatica di tenere a freno l’esuberanza di un branco di diciottenni scottati dal primo sole, in pantaloni corti canotta e infradito, pronti per nuove bevute e balli notturni.

 

Da quel gruppo, ben presto, si staccò Annah, inosservata perché silenziosa. Aereoplani ed armi stuzzicavano la sua curiosità quanto una collezione di coleotteri, oppure un trattato di idraulica. Annah, occhi chiari e sguardo profondo, lunghi capelli biondi e braccia sottili adorne di ninnoli da mercato etnico, si sentiva come attirata lontano dal branco. Il suo mondo era poesia. Romantica, ridondante, a volte stucchevole. Aulica e meravigliosa, fuori dal tempo. Non le importava se gli altri la consideravano un po’ strana per la sua particolare visione della vita. Di una cosa sola era certa: che il suo mondo non era il mondo di quei coetanei con cui si trovava a condividere passivamente quella vacanza in Riviera. Una vacanza di cui, ne era sicura, non avrebbe serbato alcun ricordo particolare.

Annah, a volte, si sbagliava.

 

Se ne rese conto quando il suo vagare svogliato la portò a pochi passi da un giovane di bell’aspetto. Annah si fermò e rimase a studiarlo, mentre lui stava osservando con attenzione ogni particolare di un triplano Fokker della Prima Guerra Mondiale, colorato con le insegne più famose, quelle dell’asso dell’aria Manfred Von Richtofen. Il Barone Rosso.

 

Il giovane era chino sulle gambe, ma quando sentì una presenza alle proprie spalle si alzò di scatto. Alto, muscoloso, elegante in una camicia dal taglio militare e pantaloni lunghi chiari. Sorpreso si voltò verso Annah, che trattenne il fiato per un secondo prima di abbozzare un timido saluto. Lui aveva ancora la mascella serrata, ma gli bastò poco per sciogliere la tensione. Per un attimo si era sentito quasi colto in fallo.

 

«Ti piace proprio» le disse lei, così, un po’ a caso, tanto per rompere il ghiaccio.

 

«Non puoi credere quanto. E può ancora volare. Incredibile», le rispose lui con voce calda.

 

«Bene, sento che anche tu sei tedesco. Io mi chiamo Annah».

 

«Chiedo perdono se non mi sono presentato prima, ma la tua bellezza mi ha incantato. Il mio nome è Alexander Maximilian Curt Von Cramm. La mia famiglia aveva una tenuta sul Lago di Costanza». S’inchinò con eleganza e le baciò una mano.

 

Annah si sentiva a proprio agio con quel ragazzo di qualche anno più grande, che ascoltava le sue storie e sapeva sorridere con occhi sinceri. I due giovani continuarono a parlare per oltre un’ora, quando la guida del gruppo, un uomo grassoccio con baffi sottili, andò a riprendere Annah. «Dove diavolo ti eri cacciata? Dobbiamo tornare in albergo. Subito».

 

«Alex, voglio rivederti. Questa sera. Assolutamente».

 

«E’ rimasta soltanto questa sera per noi» ribattè lui con voce spezzata.

 

«Partirai? Di già?»

 

«Sì, devo andare. Lontano».

 

Si diedero appuntamento per mezzanotte. Davanti al cancello del museo. Si baciarono appassionatamente. Annah, sul pullman, pianse in silenzio.

 

Mezzanotte. In lontananza l’eco di una musica tambureggiante. Una festa. Per Annah c’era poco da festeggiare. Piuttosto c’era da godere il più possibile della luce di una fiamma che si sarebbe spenta troppo presto.

Per Alexander invece c’era una missione da compiere.

 

L’ultima.

 

Annah e Alexander si baciarono ancora. E ancora. E poi parlarono, come avevano fatto quella mattina. Come avrebbero fatto per tutta la vita, se Annah avesse potuto seguire il suo istinto. Se Alexander non avesse dovuto inseguire l’inesorabile.

 

Poi lui prese in mano il proprio coraggio, che era maledettamente grande. E le chiese se voleva aiutarlo.

 

«Farei tutto per te, lo sai».

 

«Mi conosci appena. Comunque grazie».

 

Alexander e Annah scavalcarono il cancello del museo. La notte stava correndo verso l’alba. Alexander tirò fuori da un cespuglio due taniche di carburante. Evidentemente era riuscito a nasconderle lì durante il giorno, dopo che si erano salutati. Riempì il serbatoio del triplano rosso, quello davanti a cui si erano incontrati. Mise in moto l’aereo, l’elica ruotò sempre più veloce.

 

«Lo sai pilotare?» chiese lei sorpresa.

 

Le rispose con un sorriso.

 

«Se vuoi fare un’ultima cosa per me, aprimi il cancello e poi non farti trovare qui». Annah obbedì silenziosa. Suonò la sirena antifurto.

 

“In altri tempi sarebbe andata diversamente”, pensò Alexander. Ma non lo disse.

 

Il triplano Fokker lentamente uscì dal cancello e infilò la strada in discesa che portava alla Superstrada, ancora deserta. Quindi il conte Alexander Von Cramm spinse il motore al massimo e riuscì a decollare. Fece un ultimo passaggio rasoterra e salutò Annah con la mano. Poi prese quota e svanì nel crepuscolo del suo destino.

 

 

Il giovane conte Alexander Maximilian Curt Von Cramm fu uno degli assi dell’aviazione tedesca durante la Prima Guerra Mondiale. Nella primavera del 1917 il campo di volo della sua squadriglia, le Aquile del Crepuscolo, era posizionato nei pressi del paese di Bertincourt, in Francia. Nel giorno più nero della squadriglia, il conte Von Cramm fu costretto a rimanere a terra, ricoverato all’ospedale di campo per una peritonite. Dei suoi compagni, dei suoi amici, nessuno fece ritorno da una durissima battaglia aerea sul cielo della Somme. Del conte Von Cramm, da quel giorno, non si seppe più nulla.

Fino ad ora.

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