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Obiettivo: l’architettura di Ralph Erskine

da Redazione

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Michele Chiaruzzi, Life Member di Clare Hall e ambasciatore di San Marino in Bosnia Erzegovina, partecipa con tre scatti a una importante mostra fotografica ospitata a Londra e curata da Baczynski.

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di Alessandro Carli

Michele Chiaruzzi ha partecipato a Londra all’inaugurazione dell’esposizione fotografica dedicata all’architettura sociale di Ralph Erskine (“Path Crossing Exhibition. A Social Architecture by Ralph Erskine”). Chiaruzzi – che insegna Relazioni internazionali all’Università di Bologna ed è Life Member di Clare Hall, University of Cambridge nonché ambasciatore di San Marino in Bosnia Erzegovina – ha contribuito con tre scatti impressi nel giugno 2011 e un testo di presentazione pubblicato nel catalogo omonimo. L’esposizione, curata dalla fotografa viennese Andrea Baczynski, ha luogo fino al 27 febbraio nelle sale degli studi londinesi della Building Design Partnership, un’impresa interdisciplinare d’architettura europea. L’inaugurazione è avvenuta alla presenza di Tony McGuirk, Presidente della BDP, che fu collaboratore di Erskine durante uno dei più straordinari progetti d’edilizia residenziale in Europa negli anni ‘60: “Byker Wall” a Newcastle-on-Tyne.
L’esposizione propone immagini non convenzionali volte a trasmettere l’impegno architettonico di Erskine, frutto di un concetto umanistico dello spazio orientato dal fabianesimo e influenzato dal modernismo pragmatico legato al funzionalismo svedese. Da qui il celebre aforisma di Erskine: “Trasformare lo spazio in luogo” (“to transform ‘space’ into place”).

Com’è nata l’iniziativa?

“Andrea Baczynski, fotografa viennese, ha pensato di allestire, forse per la prima volta nella storia, una mostra dedicata all’architettura sociale di Ralph Erskine. Erskine ha progettato nel 1963 Clare Hall, estensione d’avanguardia del Clare College del-l’Università di Cambridge, il secondo più antico, fondato nel 1326. Baczynski ha voluto mettere a fuoco il significato del suo lavoro: ha cercato un gruppo fotografi non professionisti, scegliendo tra architetti e persone conosciute a Cambridge e Newcastle, tra cui il sottoscritto. Sono interessato allo spazio, in tutte le sue dimensioni, e vivo parte del mio tempo nell’area forse più emblematica dell’architettura contemporanea bolognese: tra la Fiera di Leonardo Benevolo, Tommaso Giuralongo e Carlo Melograni, la Regione di Kenzo Tange, la Porta Europa di Paolo Portoghesi, e il padiglione Le Esprit Nouveau di Le Corbusier”.

Cosa le è rimasto maggiormente impresso dell’architettura di Erskine?

“La pulizia delle linee, ma anche l’apertura che dava alle persone, la trasparenza della sua architettura. Un pensiero che mette sulla stessa linea l’uomo, l’architettura e l’ambiente. Erskine faceva un’architettura di rottura rispetto alla tradizione di Cambridge, che percepiva il college come una fortezza. Verso l’esterno, il suo progetto ha rotto la separazione che caratterizzava la vita delle persone che lì alloggiavano e studiavano. All’interno ha invece ridotto al minimo la necessità delle gerarchie, ridefinendo in orizzontale gli spazi istituzionali e rendendoli trasparenti”.

Quali le vere novità nella sua architettura?

“E’ che vero Erskine era britannico, ma è stato influenzato dal design svedese, basato sul funzionalismo e la pragmaticità. Ho avuto il privilegio di poter vedere di persona uno dei suoi primi esempi d’architettura a consistenza umana: in Svezia si era costruito una casetta, in mezzo ad un bosco. A Clare Hall ho ritrovato lo stesso stile di finestre – che infatti ho immortalato. Erskine è morto una decina di anni fa, lo stesso giorno di Kenzo Tange. Entrambi legati a Le Corbusier, oggi è stato anche lui riscoperto”.

Con che macchina fotografica ha scattato?

“Con una Olympus digitale. In questo senso, Baczynski ha rispettato uno dei concetti-chiave di Erskine, che quando progettava, interpellava le persone comuni e non gli addetti ai lavori. La fotografa viennese non ha voluto fotografi professionisti. Ha voluto invece persone capaci di cogliere l’anima dell’architettura che non fossero in possesso della tecnica. Ho fatto 20-25 scatti, un po’ a colori e un po’ in bianco e nero. Baczynski ne ha selezionati tre”.

Ce li può raccontare?

“La prima fotografia – che consiste nel riflesso delle nubi sulla finestra di Clare Hall – è piaciuta molto alla curatrice: Erskine lavorava molto con il vetro, sulla relazione tra dentro e fuori. La seconda invece ‘ferma’ una finestra, che ‘arriva’ come un taglio sul muro. Anzi: la finestra, quella che si può trovare anche nella sua casa svedese. Una finestra molto piccola. Erskine non usava sistemi artificiali di mutamento climatico: era contro l’aria condizionata e l’abuso del riscaldamento artificiale. La terza è un dettaglio di linee acute e pragmatiche, tracciate nello spazio”.

Una mostra in viaggio…

“Ho l’idea di portarla a Sarajevo, una città che è stata profondamente toccata dalla guerra, e che oggi sta ripensando agli spazi urbani. Sia l’ordine degli architetti di Sarajevo che l’ambasciata di Svezia hanno mostrato interesse. Ovviamente, spero anche che vi sia interesse a portare sul Titano una mostra-laboratorio che è poco costosa. Alcune cose legano Erskine a San Marino: per esempio, ha lavorato con Giancarlo De Carlo, uno dei primi che ha sperimentato e applicato la partecipazione da parte degli utenti nelle fasi di progettazione e che fu tra i fondatori del movimento Team X: suo il progetto per il recupero delle scuderie di Villa Manzoni, oggi convertite in filiale della Banca di San Marino, a Dogana. È curioso che quando Erskine rinunciò al progetto di Novoli, a Firenze, espresse, in una lettera pubblica, le stesse osservazioni di Giovanni Michelucci, autore del Santuario della Beata Vergine della Consolazione, il monumento di architettura moderna più importante che possa vantare San Marino e anch’esso recente vittima d’interventi inconsapevoli del valore della bellezza”.

Ralph Erskine (1914-2003)
E’ stato un architetto d’avanguardia ricordato anche per la “città subartica”, un progetto utopico degli anni ‘70: costruire tra i ghiacci svedesi sfruttando la tecnica moderna per captare l’energia del sole e per proteggere gli abitanti dagli agenti meteorologici avversi.

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