Home FixingFixing Banchieri “bastonati”. Non in Italia, ma in Gran Bretagna

Banchieri “bastonati”. Non in Italia, ma in Gran Bretagna

da Redazione

Il caso emblematico di Stephen Hester, Ad della Royal Bank of Scotland. La Banca salvata dallo Stato, il manager “costretto” a rifiutare il bonus.

di Saverio Mercadante

 

La Gran Bretagna che non vuole la Tobin Tax, che non ha aderito al cosiddetto fiscal compact, l’obbligo per l’Unione europea dell’equilibrio dei conti nelle Costituzioni nazionali o in leggi equivalenti e l’impegno a fare scattare sanzioni ‘semi-automatiche’ in caso di violazione, bastona invece i suoi manager bancari.

La vicenda di Stephen Hester, amministratore delegato della Royal Bank of Scotland (RBS) forse potrebbe diventare esemplare per misurare un nuovo atteggiamento del mondo bancario.

La RBS è una delle brutte storie della crisi che ancora non ha trovata una via d’uscita credibile: è stata nazionalizzata per salvarla dal fallimento e da quattro anni è controllata per l’82 per cento dallo Stato.

L’operazione di salvataggio è costata ai cittadini britannici 45 miliardi di sterline. Inoltre RBS ha annunciato in gennaio il taglio di circa 3.500 impiegati.

Troppe lacrime e sangue per poter dare a MR Hester anche un bonus per il 2011 da 963.000 sterline, circa 1,15 milioni di euro, in ogni caso la metà rispetto al 2010, in aggiunta al suo stipendiuccio da 1,2 milioni di sterline. Sindacati e partito laburista sono insorti: il leader del partito laburista Miliband ne ha fatto una questione nazionale ha indetto un voto alla camera dei Comuni per costringerlo a non accettare il bonus, ha attaccato la finanza e i bonus ai manager che dovrebbero essere concessi solo in casi eccezionali.

Le proteste si sono allargate a macchia d’olio: un giornale inglese gli aveva chiesto di farlo con un titolo a tutta prima pagina, all’opinione pubblica è parso inappropriato e immorale, la crisi selvaggia che ha colpito la Union Jack, hanno fatto riflettere il manager: un passo indietro e ha rinunciato al bonus.

“Ho capito che stavo diventando un paria agli occhi dei miei compatrioti”, ha detto il banchiere. Il quale, però ha già un’altra uscita di sicurezza verso la ricchezza: un piano di incentivi a lungo termine potrebbe fargli guadagnare nei prossimi anni una somma tra gli 8 e i 32 milioni di sterline. Scandalo su scandalo. Stephen Hester ha fatto la cosa giusta”, ha commentato Ed Miliband, leader del Labour, “ma è una vergogna che non l’abbia fatta anche il premier”. Si è dunque di nuovo messo al centro della seconda piazza finanziaria del mondo dopo New York il dibattito sui super bonus a manager e dirigenti. Anche l’UE si è schierata contro i faraoni della finanza. Michel Barnier, commissario europeo al Mercato interno e ai Servizi Finanziari ha detto nei giorni scorsi al Parlamento Europeo che nell’agenda è prevista l’approvazione di leggi pesanti sui bonus ai manager che vanno “contro ogni ragione, senso comune e moralità”.

Le proposte al vaglio del-l’Unione europea, che dovrebbero essere approvate entro l’anno, dovrebbero regolare il divario tra compenso minimo e massimo in un’istituzione finanziaria e anche la relazione tra compenso fisso e compenso variabile.

E sembra che i grandi istituti mondiali si stiano dando finalmente una regolata su questo incredibile divario tra i risultati raggiunti dai CEO e i loro stipendi.

Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Citigroup e Credit Suisse, in un contesto di generale riduzione degli stipendi, hanno già annunciato tagli ai bonus fino al 70 per cento.

Morgan Stanley e Bank of America stanno pensando a un limite fissato intorno ai 125mila dollari.

Secondo il Financial Times, i big bonuses saranno presto antiquariato bancario e i compensi ai big manager avranno una repentina discesa.

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