Il pareggio di bilancio? Una chimera, per questo nella sessione di gennaio il Consiglio Grande e Generale ha bocciato la specifica Istanza d’Arengo. L’aveva proposta ANIS e chiedeva, di stabilire per legge l’obbligo, per la politica, di non spendere più di quanto incassato dallo Stato. Questa è la prima regola di un sano bilancio. Ma ovviamente la politica, che si autoregola, non può pensare di porsi un tale limite morale prima ancora che economico. Così, molto semplicemente, l’aula ha votato contro a questa proposta di legge di iniziativa popolare. Oltre al pareggio di bilancio, l’Istanza chiedeva di introdurre anche l’obbligo di fissare un tetto massimo per la spesa corrente pari al 70%, da raggiungersi in 8 anni. Attualmente, lo ricordiamo, è stabilmente sopra quota 90%. Diciamo che ancora una volta la classe politica ha perso l’occasione di imboccare una strada virtuosa.
DALL’AULA. Il dibattito offre in sé spunti di riflessione, quindi non servono commenti. Parere favorevole è arrivato dall’opposizione. Stefano Macina, Psd, ha evidenziato “la necessità di liberare risorse per gli investimenti” e l’importanza di giungere al pareggio di bilancio obbligatorio anche per andare nella direzione dell’Unione Europea. Anche Pier Marino Mularoni (Upr) ha ritenuto condivisibile l’Istanza. “Oggi – ha affermato – non possiamo più permetterci solo parole”. Senza limiti di spesa pubblica “non è possibile far ripartire la macchina che crea ricchezza e sviluppo”. Ma chi deve fare quadrare i conti ha una prospettiva diversa. Così Alberto Selva (Ap) ha risposto negativamente all’istanza, verso i cui auspici convergono sia maggioranza e opposizione: “Seppur si è d’accordo sul tetto massimo di spesa in conto corrente, non si può condividere di fissarla al 70%”. Un termine “troppo” virtuoso per essere raggiungibile, come (con altri termini) spiega anche Federico Bartoletti (Pdcs), che parla di termini “utopistici e irrealistici” pur considerando “condivisibili” i principi dell’istanza.