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Consorzio Terra di San Marino: dentro il cuore della casa con Ezio Bartolini

da Redazione

La cucina, la stanza del cibo e della memoria. Alla riscoperta dei profumi e delle tradizioni all’interno della Casa di Fabrica.

 

“Gira sui ceppi accesi, lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando, sull’uscio a rimirar…”. E’ un viaggio nella cucina della nonna, quella che accoglie il visitatore della Casa di Fabrica, oggi riconvertita a Museo della Civiltà Contadina e delle Tradizioni della Repubblica di San Marino: e sembra quasi di avvertire il profumo della brace del focolare, lo scoppiettare allegro delle gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cena. Il curatore dell’antica casa, Ezio Bartolini, per un’ora torna bambino, e ci invita a sedere a tavola, quasi a voler ricreare quel momento di intimità del passato. “La cucina rappresentava il cuore della casa: in questa stanza – racconta, scegliendo con cura anche qualche preziosa parola in dialetto – avveniva tutto. Qui si desinava, si cucinava, si preparavano gli insaccati, per esempio. I salumi venivano insaccati attraverso un’apposita macchina, e venivano appesi vicino al camino. Il camino infatti era il luogo più asciutto: si aspettava che la fiamma del camino fosse meno calda, e si appendeva la carne che, vista la vicinanza con il fuoco, si affumicava in maniera del tutto naturale. Dopo la stagionatura, gli insaccati venivano deposti in alcune giare di ceramica, che successivamente venivano portate in cantina. I pavimenti delle cantine erano fatte di terra: un’usanza che viene ancora rispettata in alcuni Paesi dell’Europa, come l’Alsazia”. Sulla tavola che troneggia al centro della cucina, quattro piatti, le posate, un fiaschetto di vino e un pezzo di pane. “Il pane, come la farina, veniva conservato nelle madie – prosegue -. Dalle stalle, che spesso erano vicine alla cucina in quanto fonte di calore, gli uomini salivano con il latte. Parte del prodotto che deriva dalle mucche veniva bevuto. Un’altra parte invece veniva utilizzata per fare il formaggio. Il latte infatti veniva riscaldato a 37/38 gradi, veniva aggiunto il caglio… il caglio vegetale, chiaramente, quello che veniva preso dai fiori blu del carciofo”. Bartolini si avvicina al pane, e guarda i setacci per la farina. “Il sacco di grano veniva portato dal mugnaio, che spesso si teneva la metà della farina. Con la farina si tornava in cucina e si preparavano le pagnotte, che successivamente venivano portate al forno”. In cucina si preparavano anche i biscotti. “La cottura avveniva nella stufa. La stufa, oltre a cuocere i dolci secchi, la piada – che veniva rigorosamente ammorbidita con lo strutto (che veniva conservato nella vescica dell’animale) in quanto l’olio era raro e costoso – e la pasta, riforniva anche acqua calda (Bartolini solleva il coperchio e indica con il dito il calcare) e serviva per riscaldare il ferro da stiro”. Il fiasco di vino è protetto da una culla di paglia. “Serviva per proteggere la bottiglia di vetro. Gli utensili erano indispensabili, e dovevano durare. I tegami venivamo imbrigliati in una ragnatela di fil di ferro, in modo che un’eventuale rottura non provocava cocci. L’arte contadina era funzionale: ogni decoro aveva un significato ben preciso”. Il detto “del maiale non si butta via niente” ha radici contadine. “Dalla carne del suino si ricavavano gli insaccati. Lo strutto, come detto, veniva impiegato per il condimento mentre le ossa, assieme agli scarti, venivano frantumate e date in pasto agli animali. Parte delle braciole venivano vendute”. L’occhio però si ferma su una piccola otre, ferma su un ripiano. Bartolini la apre: “Qui veniva conservato lo strutto. Si sente ancora l’odore”. Lo dice mentre i suoi occhi tornano bambini, quasi a voler rivedere i volti dei nonni, le loro parole, l’attesa per il desinare, il calore dei familiari seduti attorno ad un tavolo che ha le rughe del tempo.

 

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