Home FixingFixing Giornaleide. Perché la fine stile maya dei pubblicisti è una bufala

Giornaleide. Perché la fine stile maya dei pubblicisti è una bufala

da Redazione

Giornalisti, vil razza dannata. Anche voi, cioè anche noi, finiti nel tritacarne del cosiddetto decreto “salva-Italia”. Anche voi, cioè noi, alle prese con problemi che mettono a rischio la professione e la professionalità. Oppure non è così?

di Loris Pironi

 

Giornalisti, vil razza dannata. Anche voi, cioè anche noi, finiti nel tritacarne del cosiddetto decreto “salva-Italia”. Anche voi, cioè noi, alle prese con problemi che mettono a rischio la professione e la professionalità. Oppure non è così?

Da giorni impazza in rete un tam tam tra addetti ai lavori in merito all’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti e, soprattutto, al dramma a cui andrebbero incontro i poveri pubblicisti ovverosia tutte quelle persone (in Italia sono circa 80 mila) che non svolgono primariamente l’attività di giornalista ma di fatto collaborano con testate di ogni tipo.  Le funeste previsioni che gravano sul loro capo sono così fosche che neanche le avessero scritte i Maya: estinzione di massa entro pochi mesi.

Piccolo dettaglio: le notizie che gli stessi giornalisti hanno contribuito ad amplifiare non sono vere e non hanno un fondamento. Ecco perché approfittiamo dell’occasione per concederci qualche riflessione sulla professione del giornalista.

Io non lavoro, faccio il giornalista, si sente dire talvolta dai colleghi in vena di facezie. In realtà il giornalismo non è una professione: è una missione. Certo, a farla come andrebbe fatta. Ovvero consumandosi le scarpe in cerca di notizie, verificando le proprie fonti (e difendendo la loro riservatezza a qualsiasi costo), scrivendo con coraggio e senza scendere a compromessi. Al di là della buona volontà o della effettiva capacità del singolo giornalista, dobbiamo riconoscere che il mestiere è molto cambiato, nel corso degli anni. E io – come tanti altri del resto – lo posso confermare direttamente, avendo iniziato pigiando forte sui tasti della mia macchina da scrivere, e con la stessa macchina avendo sostenuto anche l’esame per diventare professionista (oggi questo anacronistico esercizio non si usa più).

Ora sempre più spesso le notizie ti vengono a cercare, le fonti ufficiali si sono moltiplicate e il difficile sta talvolta nel dover fare una cernita; per le dichiarazioni non serve neanche più fare lo sforzo di ricopiarle dal fax, anch’esso andato in pensione a favore di strumenti che dovevano rendere più semplice la vita dei giornalisti. Tutto questo da un lato impigrisce, dall’altro lega i giornalisti davanti al proprio computer. Che non è una cosa che in linea generale dispiaccia troppo, in fondo basta non pensare che fare il giornalista è anche altro.

Oggi sono cambiati anche i formati dell’informazione: media cartacei, radio e tv devono fare i conti con la rivoluzione del web. Basta un telefonino di ultima (o penultima, o terzultima) generazione per inventarsi giornalisti, tanto che i media tradizionali, prima ripresi, oggi invece sono costretti ad inseguire gli scoop dei cosiddetti citizen journalist. Insomma, l’importante non è riuscire capire se è meglio il passato o il futuro. Ciò che conta è non star fermi a guardare.

 

Postilla finale sui poveri pubblicisti

Da qui siamo partiti, da qui finiamo. I pubblicisti, per legge, sono coloro che esercitano primariamente altre attività o professioni, ma nel contempo svolgono anche attività giornalistica retribuita. La figura atipica del pubblicista differisce da quella del giornalista professionista anche per il fatto che non è previsto l’esame di Stato per l’ammissione all’Albo professionale. Le voci circolate, ma poi anche seccamente smentite dal Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino, hanno assunto contorni di delirio puro. Segnaliamo le più interessanti: la cancellazione dell’Albo dei pubblicisti, l’obbligo di allinearsi alle norme dei professionisti (18 mesi di praticantato e poi l’esame nazionale anche per chi scrive 5 articoli l’anno…), ma in compenso, per chi ha una laurea qualsiasi appesa al muro, ecco spuntare l’opportunità di cavarsela con un semplice corso di formazione di 300 (!) ore. E per chi vuol continuare a scrivere nonostante tutto? Denuncia penale per chi pubblica più di 10 articoli in un anno. Come se la libertà di stampa e di opinione fosse bandita all’improvviso da quello strano Paese che è l’Italia. In realtà non succederà niente di tutto questo. Vuoi perché è difficile che un qualsiasi governo, compresi quelli tecnici, troverà la forza di scalzare gli ordini professionali dal proprio alveo. Vuoi perché, anche nel caso questo accadesse, l’accesso alla professione di giornalista resterà comunque libero. Come è sempre stato.

 

blogging by: http://lettera22punto0.wordpress.com/

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento