Home FixingFixing Caro euro, compi dieci anni. Tra falsi miti e veri limiti

Caro euro, compi dieci anni. Tra falsi miti e veri limiti

da Redazione

happy-birthdayUn po’ in sordina per le tante critiche ricevute negli ultimi tempi, ma l’Euro ha appena compiuto 10 anni. Tra falsi miti e veri limiti. In Italia a cosa è servita la (relativa) bassa inflazione? Perso quasi il 40% del potere d’acquisto. Il possibile fallimento della moneta unica lascia presagire scenari catastrofici.

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di Saverio Mercadante

 

Una sola sicurezza. In Italia. L’inflazione abbastanza bassa di questi dieci anni di euro è servita a ben poco. Da gennaio 2002 a gennaio 2012 la perdita del potere d’acquisto per il ceto medio è stato del 39,7%, e in dieci anni una famiglia di 4 persone ha subito una stangata, per aumento dei prezzi, rincari delle tariffe, manovre economiche, caro-affitti, caro-carburanti, di circa 10.850 euro. Lo afferma uno studio del Codacons che fa il punto sui 10 anni della moneta unica. Eppure per alcuni analisti italiani l’euro ha creato un salvagente indispensabile: stop alle svalutazioni, riduzione dei costi di transazione, più credibilità internazionale e tassi di interesse bassi quanto mai si erano visti nel dopoguerra.

happy-birthday.jpgSembra paradossale dirlo oggi con gli spread alle stelle ma dal 2002 l’Italia ha risparmiato 50 miliardi l’anno sugli interessi del debito. Senza questo scudo l’ultima tempesta finanziaria si sarebbe trasformato in un mattatoio: i tassi sarebbero esplosi insieme all’inflazione, finalmente domata negli anni della moneta unica. Anche risparmiatori e proprietari di case sono rimasti schermati dall’euro: la ricchezza patrimoniale italiana vale ancora 8 volte il reddito, è uno dei tassi più elevati al mondo. Per otto anni o quasi, la moneta unica continentale ha funzionato, ha retto il confronto durissimo con il dollaro, stabilizzandosi su un cambio di 1,30, 1,40. Anche se il debutto in Italia fu una specie di truffa. Avrebbe dovuto esordire così: un euro uguale 1936,25 lire. Pia illusione: fu subito un euro uguale mille lire. E moti diedero la colpa alla mancanza di vigilanza del governo di allora, Silvio regnava, al contrario di quello che fecero gli altri stati europei. I prezzi di alcuni generi di consumo s’impennarono, eppure l’inflazione rimase bassa: 2,5% contro il 2,7% del 2001. per non parlare degli anni ’70 e 80 quando i prezzi galoppavano in media oltre il 13% annuo. Altro grande aiuto prima del tempo dello spread sopra i 500 punti. Il debito pubblico italiano ha avuto un grande aiuto dall’euro: i tassi di interesse sono passati dal 4,5% degli anni ’90 a circa il 2% sino al 2008. Due punti fanno appunto, cinquanta, sessanta miliardi all’anno di risparmio del costo del debito. Che hanno contribuito anche ad abbassare il debito pubblico passato dal 120% del 1994 al 103% del 2008, prima dello sforamento di nuovo al 120% dell’ultimo governo di centro destra. Ma la vera debolezza dell’euro sembra essere quella di non essere mai stato propulsore di crescita. In Europa, soprattutto per l’Italia: redditi di fatto, quasi fermi, e sviluppo insignificante. Per molti analisti il vero problema che non può essere risolto con cura da cavallo di rigorismo duro e puro che rischierebbe di ammazzare il malato invece di curarlo. I paesi cosiddetti deboli come Italia, Spagna, Irlanda, Grecia, Portogallo, hanno visto aggravarsi il deficit dei conti con l’estero, mentre i paesi forti come la Germania miglioravano la loro bilancia dei pagamenti. Dunque, calo verticale della competitività: sistema dei prezzi e salari più caro in Italia sino al 20/25%. I capitali che da Nord scendevano verso Sud in qualche modo hanno colmato il gap sino al 2008, poi, la crisi finanziaria, ha fermato i flussi: bolle immobiliari in Spagna e Irlanda, crisi del debito pubblico in Grecia, Italia, Portogallo. Uscire dall’euro a questo punto servirebbe? Secondo uno studio dell’UBS, se alla Merkel venisse la fregola da ritorno al marco costerebbe alla Germania un crollo del 25% del Prodotto Interno Lordo: tra seimila e ottomila euro per ogni cittadino tedesco, più tremilacinquecento, quattromila cinquecento euro per ogni anno successivo.

Per l’Italia, of course, un disastro epocale: nei primi dodici mesi PIL quasi dimezzato. Il costo per ogni italiano sarebbe intorno tra 9.500 e 11.500 euro, più altri 3-4.000 per ogni anno a venire. Sembrano molto, molto lontane le speranze di quel primo gennaio del 1999 quando nacque l’euro.

Il possibile fallimento della moneta unica, divisa senza sovrano, senza una vera autorità politica e monetaria alle spalle, senza un vero tesoro federale, senza un vero piano di crescita condiviso, può favorire un effetto un effetto valanga che trascinerebbe l’intera economia mondiale in una crisi al buio senza precedenti. Afferma l’economista Nouvel Roubini, quello che ha previsto la crisi dei sub prime del 2008, forse il più famoso degli euro scettici: “La chiave per la risoluzione della crisi è l’integrazione, il contrario dell’attuale volontà di disintegrazione. Servono coesione fiscale e finanziaria con l’attribuzione di cogenti poteri centrali e l’istituzione di forti autorità di controllo. Va rafforzato il coordinamento tra le banche creando un’assicurazione unica sui conti che ripartisca il rischio e omogeneizzando le attività. C’è bisogno di regole che mettano gli operatori in grado di agire come se fossero all’interno dello stesso stato federale, liberalizzando le fusioni, acquisizioni e altre attività cross border. Oggi si va verso la balcanizzazione della finanza, altro che integrazione”.

Una vecchia ricetta: solidarietà, in una parola.

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