Home FixingFixing Elzeviro, “Novecento” a teatro. Riflessioni e parole, in attesa dell’America

Elzeviro, “Novecento” a teatro. Riflessioni e parole, in attesa dell’America

da Redazione

Una nave, il Virginian, che salpa dai teatri di tutta Italia dal lontano 1994. Il monologo di Alessandro Baricco che ha entusiasmato anche Tornatore.

 

di Alessandro Carli

 

Italo Calvino non ha fatto in tempo a completare le “Lezioni americane”, il ciclo di cinque conferenze tenute all’università di Harvard negli Stati Uniti, poi divenute libro. Calvino aveva posto cinque concetti che formavano la base della letteratura per il nuovo millennio: il tempo però gli è stato tiranno, non concedendogli la possibilità di leggere – e vedere a teatro, e vedere al cinema – “Novecento” di Alessandro Baricco. Il monologo teatro dello scrittore piemontese è un caso letterario – è stato selezionato tra le opere del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia – e rappresenta un unicum per la drammaturgia a cavallo tra i due secoli. La storia del Virginian, e del musicista che gli ha vissuto sopra, e le traversate dell’Atlantico infatti va in scena, con attori ed allestimenti diversi, dal 1994, anno in cui venne dato alle stampe da Feltrinelli. Baricco lo scrisse per Eugenio Allegri, che lo portò al debutto lo stesso anno al Festival di Asti, per la regia di Gabriele Vacis. E’ successo poi che Baricco e Allegri hanno preso navi diverse (fermiamoci qui), e sul Virginian è salito l’attore Arnoldo Foà. Dal 2008, a raccontare i viaggi di Danny Boodman T. D. Lemon Novecento (e degli altri protagonisti del libro: è questa la vera, sostanziale differenza rispetto agli altri due interpreti), c’è Corrado d’Elia, che giusto martedì scorso ha attraccato al Teatro Titano di San Marino. Novecento, su quella nave, c’è nato. E non c’è mai sceso, a parte una volta. “Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima”. Novecento, nella sua vita, suona il pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Come nella vita. come quando decide di mettere piede in America. “Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai. Come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… La terra, quella è una nave troppo grande per me. E’ un viaggio troppo lungo. E’ una donna troppo bella. E’ un profumo troppo forte. E’ una musica che non so suonare. Perdonatemi, ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro, per favore”. Novecento torna indietro. Perché la vita ti dà appuntamento con il destino. “E’ una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e disse: ‘A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave’ Ci rimasi secco. Fran”. Ci scende, da quella passerella. E poi torna indietro. Così da 17 anni, su e giù per le assi dei teatri. E’ questo il segreto della longevità: la poesia in forma di monologo. Le parole che raccontano, e diventano un biglietto di terza classe, o anche più giù: dentro il cuore della nave – Virginian o Titanic – vestiti da fuochisti, come Francesco De Gregori, oppure in smoking, in platea. Pronti per salpare verso un viaggio unico, che – solo alla fine – ti riporta da dove sei partito. Per ripartire di nuovo, la sera dopo. A teatro, oppure davanti al caminetto, a casa, con il libro aperto e un biglietto ancora da obliterare.

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