In questi giorni si sta parlando molto di lavoro e precarietà. E’ in atto, infatti, la rivoluzione di chi vede calpestati i propri diritti in nome del mantenimento dei privilegi dei soliti noti. Sono gli Indignati.
In questi giorni si sta parlando molto di lavoro e precarietà. E’ in atto, infatti, la rivoluzione di chi vede calpestati i propri diritti in nome del mantenimento dei privilegi dei soliti noti. Sono gli Indignati che si sono visti all’opera intenti a incendiare e spaccare tutto, prendendosela prevalentemente con chi come loro fatica ad arrivare alla fine del mese, un po’ come i ben noti polli di Renzo di manzoniana memoria. Loro rappresentante ufficiale è un 24enne iscritto a Psicologia che, parlando di sé su Facebook, rivela che il suo film preferito è “Paura e delirio a Las Vegas”. Così, proprio grazie a quel rappresentante illetterato, i fermenti di questi ultimi giorni rischiano di rivelarsi un vero e proprio fallimento. Anche se viene il dubbio che i giovani di oggi non siano tutti così e che meritino un’opportunità che il mondo del lavoro non sembra più in grado di dare. Restano pertanto a spasso giovani con cultura medio alta, muniti non solo di lauree e master ma anche di buona volontà, entusiasmo e potenzialità. Tutte risorse che, però, non vengono considerate appetibili dal mondo del lavoro che continua ad emarginare i più giovani e talentuosi a vantaggio di chi da tempo occupa certe posizioni. Per contrappasso questi ultimi non vengono mai messi alla prova dei risultati e ora diventa reato persino insinuare dubbi rispetto alla loro cultura. Lo ha stabilito la Corte dei Conti italiana che ha condannato la presidente del Vittoriale per una lettera rivolta al direttore del Centro Studi Dannunziani, dove genericamente veniva messa in dubbio la cultura di certe persone. Un segno drammatico dei tempi? Di sicuro siamo lontani dal sentire foscoliano e da “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge” che dovrebbe guidare giovani e meno giovani verso la ricostruzione di un Paese ostaggio di ingombranti privilegi. Si intravede, in questo scenario di assoluta desolazione, una piccola luce accesa, quella che fa della conoscenza e dell’insegnamento perpetuo, la propria bandiera. C’è infatti, a San Marino, chi propone, in maniera rivoluzionaria, di promuovere corsi di alta formazione per chi già lavora, come a dire che la propria occupazione non è più un punto di arrivo ma il punto dal quale partire per dare un’opportunità a se stessi e alla comunità nella quale e per la quale si deve necessariamente lavorare. Per porre fine a una forma mentis che porta tanti impiegati a dire ogni mattina “vado in ufficio”, anziché “vado a lavorare”, come un tempo si usava dire.