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Argentina, la dinastia Kirkner mette il cappello sul boom

da Redazione

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L’Argentina viaggia a ritmi di crescita cinesi: +8,4% del prodotto interno lordo. I salari sono cresciuti del 17% nell’ultimo anno, fortissima impennata dei consumi interni.

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Boom-Boom Cristina vince a mani basse le elezioni argentine sull’onda del boom economico che coinvolge la maggior parte dell’America Latina: +8,4% del Prodotto Interno Lordo come media annua per Buenos Aires sostenuto soprattutto dalla domanda e dall’alto prezzo di materie prime come grano e soia.

Stazionano, però, dense e nere, su una parte dei cieli d’Argentina le nubi dell’inflazione: ciclicamente dal 1978 ad oggi si abbatte sul sistema economico.

Per quanto la Presidente Kirchner si affanni a smentire e, nonostante i dati dell’INDEC che stimano l’inflazione poco sopra il 10%, società indipendenti e centri di ricerca economica del paese valutano che la spirale inflattiva abbia sfondato i trenta punti percentuali su base annua.

I cittadini non hanno abbandonato il vecchio costume di concentrare la spesa nelle giornate successive al pagamento dei salari e delle pensioni, in modo da mettere al riparo i beni primari dal fenomeno inflattivo.

Un vero trionfo elettorale comunque per CFK, Cristina Fernandez Kirchner: ha ottenuto il 53,7% dei voti staccando di quasi 40 punti il secondo più votato, il socialista Hermes Binner, che si è fermato al 16,9%.

Avrà la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato, sarà il governo più forte degli ultimi 30 anni.

CFK ha puntato sull’aumento della spesa pubblica, per alcuni analisti una delle possibili spinte inflazionistiche, verso i settori più poveri del Paese con consistenti aiuti nell’istruzione, nei trasporti e nell’acquisto di beni primari. I salari sono cresciuti intorno al 17% nell’ultimo anno e i consumi interni hanno avuto una fortissima impennata: dal 2009 i supermercati hanno aumentato le vendite del 60%.

Gli interventi della Kirkner sono stati trasversali e hanno favorito anche l’imprenditoria, tra i quali i proprietari delle miniere d’oro, favoriti da una tassazione molto bassa (3%) sullo sfruttamento dei giacimenti.

La crescita del prezzo internazionale delle commodities è uno dei fattori portanti per il saldo positivo della bilancia dei pagamenti: si potrà continuare a finanziare l’espansione della spesa pubblica, spostando più in là il rischio inflattivo.

Va dato atto che il Fattore K, prima con il marito, da poco scomparso, Nestor, e poi con Cristina, ha funzionato, risollevando l’Argentina dalla bancarotta.

Le nefaste privatizzazioni delle presidenze Menem e De La Rua che avevano portato il Paese al fallimento sono state recuperate.

L’esempio più eclatante era stata la vendita negli anni Novanta dell’Aerolineas Argentinas, la compagnia aerea di bandiera, che fu praticamente regalata a Iberia e all’American Airlines.

Nel 2008 la presidenta Cristina ha rinazionalizzato la compagnia, rimettendola in piedi. Anche sul piano del superamento degli anni bui della dittatura, i Kirchner hanno messo in piedi una grande pacificazione nazionale. Nèstor Kirchner, nel 2006, trasformò la Escuela de Mecánica de la Armada (Esma), nella quale passarono circa 4.700 desaparecidos, in un Museo della Memoria, chiedendo perdono da parte dello Stato “per la vergogna di aver taciuto durante 20 anni di democrazia su simili atrocità”.

Le organizzazioni dei familiari dei desaparecidos, in testa le Madres y Abuelas de Plaza de Mayo, sono diventate tra le più convinte sostenitrici di Kirchner fino a perdere il carattere apolitico che le aveva sempre contraddistinte. Ma in queste operazioni si sente sempre l’odore di quel populismo di stampo peronista che circonda ogni leader argentino.

E CFK non è da meno: il partito è costruito a immagine e somiglianza del leader (il Frente para la victoria fu creato da Nestor Kirchner nel 2003) e al suo interno non è previsto il dissenso.

Negli ultimi quattro anni di governo, però, l’immagine di Cristina Fernandez de Kirchner ha sofferto duri colpi: un serrato confronto con i produttori agricoli, l’abbandono del suo vicepresidente Julio Cobos e diversi ministri e sottosegretari, e la perdita della maggioranza nel Parlamento.

Il tratto peronista, sempre incline ad essere pericolosamente simile ad una dittatura esce fuori nei rapporti con la stampa.

Guerra aperta contro il gruppo editoriale Papel Prensa, proprietario di El Clarín e La Nación, due quotidiani molto critici nei confronti del governo.

I Kirchner hanno tentato di acquistarli attraverso delle teste di legno a loro fedeli. Il cattivo rapporto con i media è stato confermato dall’ostinazione di Cristina a sottrarsi al confronto politico in tivù, particolarmente evidente in quest’ultima campagna elettorale.

Eppure in campo economico ha segnato un altro punto a suo favore puntando su organismi regionali regionali come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) e il Mercosur, che hanno permesso di risolvere i conflitti e i problemi in America Latina senza l’intermediazione dei Paesi altri, riferendosi chiaramente agli Stati Uniti d’America.

Giusta decisione: le proiezioni per l’economia dell’America Latina nel 2011 sono ottimistiche, anche se la crescita del Prodotto Interno Lordo sarà moderata, e cioè non cosi brillante come l’anno scorso, e varierà tra il 4,2% e il 6%, secondo le opinioni di diversi esperti.

L’America Latina è diventata una delle regioni più interessanti per gli investimenti esteri durante il 2010. La regione, infatti, si è vista inondata da flussi di capitali, non solo speculativi ma anche investimenti diretti.

Come in Argentina: l’alto livello di crescita dell’economia e dell’occupazione è stato sostenuto dagli investimenti cinesi e brasiliani.

Ma l’Argentina ha ancora una frammentazione sociale strutturale. Il 7% più ricco della popolazione ha un’entrata mensile di circa 35 mila pesos, pari a 5.925 euro, 35 volte superiori a quella percepita dal 15% più povero, i cui stipendi si aggirano sui 1.000 pesos, 169 euro.

Ma sembrano oggi veramente lontani i tempi dei professori universitari che vendevano per strada i loro libri per riuscire a mangiare qualcosa, mentre i risparmi di una vita erano bloccati nelle banche.

E un gigantesco cartello con la scritta “L’ultimo spenga la luce” era appeso all’aeroporto di Buenos Aires per salutare tutti quelli che partivano alla ricerca di un futuro migliore.

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