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La crisi dei giornali. Dall’Alaska all’Italia “brucia” la carta stampata

da Redazione

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In Italia rischiano di chiudere cento testate. Quattromila dipendenti sull’orlo del licenziamento. La crisi dei giornali non conosce fine. Senza finanziamenti statali in fumo 400 mila copie tra giornali, riviste e pubblicazioni varie.

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“Era una casa per giornalisti che avevano abbracciato la vita avventurosa in Alaska, dovendo utilizzare, per seguire gli avvenimenti, l’aereo, la canoa, fuoristrada, motoslitte e persino le tradizionali slitte trainate dai cani, celebrando anche un lato dell’Alaska molto spesso poco conosciuto dagli abitanti dei centri urbani dello Stato”, ha commentato sconsolata la senatrice Lisa Murkowski. La crisi dei giornali dunque ha colpito anche l’Alaska. Ad agosto, a causa dell’aumento dei costi di produzione e delle materie prime, chiudono sei piccole testate settimanali pubblicate da Alaska Newspapers Inc, un’azienda editoriale che fa capo alle comunità degli eschimesi Yupik.

I giornali con 38 dipendenti erano distribuiti fra Barrow e l’Alaska nordoccidentale, il delta dello Yukon, le isole Aleutine, Bristol Bay e i porti di Cordova e Seward.

Ma la crisi dei giornali colpisce anche i giornali italiani dove almeno 100 testate rischiano di chiudere per sempre. Quattromila persone resteranno senza lavoro e spariranno dalla circolazione 400 mila copie tra giornali, riviste e pubblicazioni del terzo settore.

È l’allarme lanciato nei giorni scorsi nell’assemblea dell’editoria cooperativa, no profit e di partito. E’ in crisi anche la Gazzetta del Sud, considerata fino ad ora un colosso dell’informazione nel Mezzogiorno. E’ in crisi ancora una volta, puntuale come la catastrofe nelle tragedie, Il Manifesto: è stato la scuola di tanti giornalisti famosi sotto la direzione del magico trio Pintor, Rossanda, Parlato, come Gianni Riotta, Lucia Annunziata, e il grande Jena, il più bravo corsivista italiano, Riccardo Barenghi.

Lo splendido quarantenne, il giornale è stato fondato nel 1971, ha perso quel ruolo centrale che ha avuto negli anni scorsi come portavoce dei movimenti. E la botta finale nel calo delle copie vendute, viaggia intorno alle 20/25.000, l’ha avuta dalla nascita de Il Fatto, grande successo editoriale, certamente leader degli indignati d’Italia.

Troppi giornalisti, tra gli 80 e i 100, quando la regola aurea dice un giornalista ogni mille copie vendute.

A dare una boccata d’aria sono arrivati i fondi pubblici: nel 2010 Il Manifesto ha avuto 3.745.345 euro di finanziamento. Ma quest’anno la situazione si è fatta molto dura, a tal punto che i due condirettori, Norma Rangeri e Angelo Mastrandrea si sono dimessi.

Ed è proprio stata l’assemblea della Mediacoop, a cui accennavamo prima a rinfocolare qualche speranza: il governo italiano ha promesso provvedimenti per le cooperative editoriali a tempo di record: parametrare i contributi per i giornali alle vendite e all’occupazione, rivedere le convenzioni con le agenzie, ripensare al sistema distribuzione liberalizzando le tariffe postali, reintroducendo il credito agevolato finalizzato all’innovazione, prevedendo incentivi per i giornali on-line e tutelando con più efficacia il copyright.

Ma finora nulla s’è visto. Se non c’è alcun nuovo stanziamento per il 2012 i fondi stanziati sono 154 milioni, ma quelli effettivamente disponibili sono 80 contro un fabbisogno di 170. Le cooperative editoriali chiedono che vengano stanziati altri 40 milioni e che la convenzione con la Rai venga calcolata su un altro capitolo e che venga stabilito un tetto ai contributi in base ai dipendenti delle testate.

Certo, i casi come quello de l’Avanti, il glorioso giornale del partito socialista non aiutano alla credibilità del settore. Valter Lavitola, l’imprenditore-editore-giornalista assurto alle cronache insieme a Gianpaolo Tarantini per aver cercato di estorcere 500.000 euro al premier italiano e per tante altre strane faccende come quella della casa di Fini a Montecarlo, è stato l’editore, attraverso la società cooperativa International Press, sin dal 1996 del foglio socialista.

Ebbene la nuova avventura del giornale è costata ai contribuenti italiani, dal 2004 al 2009, più di 15 milioni e 200 mila euro a fronte di una distribuzione di fatto clandestina. A dire il vero, anche un altro giornale prestigioso, come Il Foglio di Giuliano Ferrara, vende pochissime copie, e campa con i contributi, in milioni di euro, dello stato in quanto giornale di partito.

Infatti, Il Foglio è organo della Convenzione per la Giustizia, movimento politico (di fatto inesistente) fondato da due parlamentari: il forzista Marcello Pera e il verde Marco Boato. In questo modo può beneficiare dei finanziamenti pubblici all’editoria, secondo quanto previsto dalla Legge 7 marzo 2001, n. 62.

E senza tante ipocrisie Giuliano Ferrara ha dichiarato: “Parte dei soldi vengono naturalmente anche, dal secondo anno della fondazione, dai contributi dello Stato… Con il trucco della famosa Convenzione per la Giustizia, che era… Un trucco… beh, beh, diciamo che la legge dava una possibilità e noi l’abbiamo sfruttata… È un trucco nel senso che non era un vero partito, era… Avevamo chiesto a Marcello Pera, che faceva parte del centrodestra, senatore, e a Marco Boato, deputato del centrosinistra, due persone amiche, due lettori del giornale, di firmare per il giornale. Abbiamo fatto questa Convenzione… per la Giustizia… Un escamotage! Legale, perfettamente legale, al quale purtroppo hanno cominciato a ricorrere molti altri, anche quelli che però non hanno un’azienda reale, che vuole fare giornalismo.”

Il Foglio nel 2010 ha ricevuto 3441 milioni di euro di contributi dello stato. Sembra che venda 1800 copie. E io pago, direbbe Eduardo De Filippo.

Ma d’altronde la lenta emorragia della carta stampata non accenna a fermarsi. Lo ha certificato anche il nono rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, ‘I media personali nell’era digitale’

La carta stampata, secondo questi dati, ha perso il 7% dei lettori in due anni. Nel dettaglio i quotidiani a pagamento (47,8% di utenza) perdono il 7% di lettori tra il 2009 e il 2011 (-19,2% rispetto al 2007). La free press cresce di poco (+1,8%, salendo al 37,5%).

I periodici resistono, specie i settimanali (28,5% di utenza). Si tratta di media soprattutto per donne: più di una su tre legge i settimanali (il 36,4% del totale), mentre solo un uomo su cinque fa altrettanto (il 20,4%).

Tengono anche i libri, con il 56,2% di utenza, ma il dato si spacca tra il 69,5% dei soggetti più istruiti che hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno, contro il 45,4% delle persone meno scolarizzate.

Gli e-book non decollano (1,7% di utenza). Stabile la lettura delle testate giornalistiche on line (+0,5%, con un’utenza del 18,2%), che però non si possono più considerare le versioni esclusive del giornalismo sul web, perché i diversi portali Internet di informazione contano oggi un’utenza pari al 36,6% degli italiani. Sostanziale tenuta dei telegiornali: l’80,9% degli italiani li utilizza come fonte.

I giovani, però, marcano una differenza: fanno volare gli smartphone, per informarsi usano i tg (69,2%) tanto quanto Google (65,7%) e Facebook (61,5%), e guardano la tv su YouTube (47,6%).

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