Home FixingFixing Iceland, il male d’Islanda è una tabula rasa. Ecco come sta uscendo dalla crisi

Iceland, il male d’Islanda è una tabula rasa. Ecco come sta uscendo dalla crisi

da Redazione

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Ah, l’Islanda. Ecco come il fiero popolo nordico è riuscito a risollevarsi da una crisi epocale. Nell’isola una significativa rinascita economica e costituzionale.

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di Saverio Mercadante

 

Tre anni fa il debito era al 1.100% del PIL. In Grecia ora è al 150% e il governo sta per licenziare 30.000 statali se non vuole fallire. L’Islanda in tre anni si è tirata su da una crisi che poteva travolgerla per sempre andando nella direzione opposta: non ha fatto pagare il conto ai suoi cittadini. Non è un miracolo, ma la rinascita economica e costituzionale è stata avviata e il Fondo Monetario Internazionale conferma che gli obiettivi sono stati centrati: hanno fatto “progressi impressionanti”.

 

La crisi


Dal 2001 al 2003 il governo islandese inizia a privatizzare il settore bancario. Le tre banche principali – Landbanki, Kapthing e Glitnir – offrono alti interessi attraverso un programma chiamato IceSave. I soldi iniziano ad arrivare, specie da Inghilterra e Olanda. Tra il 2002 e il 2008 la Borsa islandese sale del 900%, il prodotto interno lordo cresce del 5,5% l’anno. Ma crescono anche i debiti delle banche: nel 2007 arrivano al 900% del PIL islandese. Esplode la crisi. Gli investitori stranieri chiedono indietro alle banche il denaro investito. Il governo non ha le risorse per salvarle: finiscono in bancarotta. Il danno è senza precedenti. Il governo non ha alternative, nazionalizza gli istituti bancari e promette ai cittadini che non perderanno gli investimenti in denaro. La Corona perde l’85% del suo valore di cambio sull’euro. Alla fine del 2008 il l’esecutivo islandese alza le mani: si dichiara insolvente, è la bancarotta. Ma la reazione è immediata. La prima mossa del governo islandese conservatore, rischiando l’isolamento internazionale, fu drastica: non paga i creditori sfiorando una crisi diplomatica con gli Stati interessati, soprattutto Olanda e Gran Bretagna. Trasferisce i risparmi degli islandesi in tre nuovi istituti. Nel gennaio del 2009 chiede aiuto al FMI che concede 3,2 miliardi di euro. L’esecutivo studia anche un prelievo straordinario: ogni cittadino islandese avrebbe dovuto pagare 100 euro al mese per 15 anni, a un tasso di interesse del 5,5% annuo per pagare il debito contratto da banche private nei confronti di altri soggetti privati. Il Paese si ribella, cambia il governo, presieduto per la prima volta da una donna, Johanna Sigurdadottir. Viene indetto un referendum sulla supertassa. La pressione sull’Islanda è alle stelle. Olanda e Inghilterra minacciano di isolare l’Islanda, se sceglierà di non ripagare i debiti. Il FMI lega alla decisione il versamento degli aiuti. “Ci dissero che se non avessimo accettato le condizioni della comunità internazionale, saremmo diventati la Cuba del Nord – ricordano gli islandesi -. Ma se le avessimo accettate saremmo diventati la Haiti del Nord”. Il referendum si tiene a marzo 2010: il 93% dei votanti decide di rischiare di diventare la Cuba del Nord. Il FMI congela immediatamente gli aiuti. Il governo risponde mettendo sotto inchiesta i banchieri e i top manager responsabili della crisi finanziaria. L’Interpol emette un mandato di arresto internazionale per l’ex presidente della banca Kaupthing, Einarsson, mentre altri banchieri implicati nel crac fuggono dal Paese. Poteva essere l’inizio della fine dell’Islanda. E’ l’inizio della rinascita.

 

La rinascita


L’Islanda aveva preso decisione molto rischiose: non ripagare i debiti delle banche private nei confronti di investitori stranieri; rinunciare agli aiuti del FMI, vincolati a politiche economiche liberiste; dare la caccia ai banchieri responsabili della crisi, per cercare di avere giustizia. Ma il governo islandese sull’onda della spinta popolare non si ferma qui. A novembre 2010 decide di modificare la Costituzione. Quella in vigore era una fotocopia di quella danese. Per riscriverla, il popolo sceglie, con delle elezioni, 25 cittadini, dotati di tre requisiti fondamentali: essere maggiorenni, avere raccolto le firme di 30 cittadini a supporto della loro candidatura, non avere tessere di partito. Niente politici, si riparte dai semplici cittadini. I lavori di questa assemblea costituente partono nel febbraio 2011. Sono trasmessi in streaming su internet: e i 25 raccolgono i suggerimenti e le richieste che arrivano attraverso il web da ogni parte del Paese, specie dalle diverse assemblee popolari che hanno luogo in tutta l’Islanda. Una volta terminata, la Magna Charta dovrà essere approvata dall’attuale Parlamento e da quello che uscirà dalle prossime elezioni legislative. L’altra grande iniziativa nel nome della massima trasparenza possibile è quello di creare l’Icelandic Modern Media Initiative. È un progetto di enorme innovazione democratica: la trasformazione dell’Islanda nell’eden della libera informazione. L’isola si dota di una cornice legale che protegge il giornalismo investigativo, l’identità delle fonti, gli internet provider che divulgano news. L’obiettivo è semplice: un’informazione completamente libera, e il più possibile diffusa, sarà il cane da guardia del Paese per affrontare le crisi economiche, attribuire responsabilità e mettere in fuga ogni possibilità di speculazione sulla pelle dei cittadini. Il governo in questi due anni ha cercato intanto con ogni mezzo di tutelare i redditi: gli stipendi non sono stati tagliati e le pensioni sono state tutelate. Per far fronte alla disoccupazione sono state messe in campo una serie di politiche di sostegno al mercato del lavoro. Lo Stato garantisce sei mesi di stipendio per l’apprendistato e circa il 60% dei disoccupati che entra in questo programma viene assunto. Si è puntato anche sulla formazione del lavoro e l’educazione: quintuplicati i finanziamenti nonostante i tagli alla spesa pubblica. I risultati sono buoni: in due anni i disoccupati sono calati da circa 18.000 a 11.294. Qualche dato ancora: il Pil dal – 6,9% del 2009, secondo le stime risalirà al + 2,8% del 2011. La domanda interna, dal buco nero del – 20,7% del 2009 è risalita al +3% del 2011. La disoccupazione dall’8% del 2009 è scesa al 6,7% del 2011. I prezzi al consumo dal +12% del 2009 sono scesi al +5% del 2011. il deficit pubblico, secondo i dati Ocse, è calato dell’1,4% rispetto al Pil. Ora Reykjavík vuole entrare nell’euro e restituire i soldi a olandesi e inglesi. La nuova strada della democrazia è segnata, l’economia sembra risanata.

 

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