Prevede il prelievo alla fonte sui capitali depositati nelle banche e il mantenimento dell’anonimato. Fabbri (ABS): “E’ fondamentale prendere in considerazione una soluzione di questo tipo”.
di Saverio Mercadante
La Svizzera del super franco non perde tempo e non vuole mollare il segreto bancario. Tratta e porta a casa accordi importanti con i Paesi che contano: Germania e Inghilterra. Si è aperta una porta che può diventare un portone nel quale sembra voler entrare anche l’Italia e probabilmente anche la Francia. Dope due anni di liti e insulti reciproci, rappresaglie come il blocco dei ristorni fiscali dei frontalieri italiani decretato dal Canton Ticino, qualcosa si è incrinato nel muro contro muro italo-svizzero “al di là delle più rosee previsioni”, in occasione di un incontro tra delegazioni parlamentari e rappresentanti delle associazioni bancarie ed economiche svizzere e italiane. I retroscena raccontano di un incontro dai toni molto accesi ma che sembra abbia raggiunto la volontà di riprendere al più presto i negoziati. Un primo segnale c’era già stato il sette giugno scorso quando Franco Narducci, vicepresidente della commissione esteri della Camera dei deputati italiana, aveva presentato alla Camera dei deputati un Ordine del giorno relativo ai rapporti fiscali tra Italia e Svizzera. Il documento chiedeva al governo di “intraprendere i necessari passi diplomatici per riallacciare il dialogo con il governo svizzero e definire al più presto un percorso negoziale per giungere entro il 31 marzo 2012 alla stesura di un accordo sul modello di quello che si sta concretizzando tra la Svizzera e la Germania e che preveda per il passato una liberatoria attraverso il pagamento a posteriori di un’imposta forfettaria”. Le gravi difficoltà finanziarie dell’Italia alla ricerca affannosa di nuove fonti d’entrata che consentano di non dissanguare i contribuenti italiani, l’inversione di marcia dei capitali italiani che hanno ripreso la via della Svizzera, hanno ammorbidito gli atteggiamenti muscolari di Tremonti: dopo aver imprecato contro la soluzione della ritenuta fiscale alla fonte, un’idea “scritta dagli svizzeri”, pare aver mutato radicalmente opinione. Ora parla di accordi in linea con la posizione nazionale: come dire, che al di là delle decisioni tecniche sull’entità delle aliquote, ora c’è la volontà politica. Le ipotesi che girano sull’aliquota che sarà applicata sui capitali italiani detenuti in Svizzera variano dal 20 al 30%. E’ abbastanza in linea con gli accordi firmati da Berna con Londra e Berlino per i capitali depositati nella Confederazione, e non dichiarati al fisco di provenienza, di cittadini non residenti in Svizzera. Sarebbe comunque vantaggioso: il prelievo alla fonte da parte svizzera che poi lo girerà in Germania e in Gran Bretagna consentirebbe di mantenere l’anonimato e di non pagare le aliquote per intero. Un’altra delle ipotesi che gira sull’accordo fiscale tra Italia e Svizzera è quella che oltre al mantenimento dell’anonimato unita ci sia la possibilità per il titolare dei capitali di smobilitare non più del 5% del patrimonio totale ogni sei mesi. Quella dell’anonimato rimane una questione centrale molto difficile da digerire per il fisco italiano dopo la faticosa crociata anti evasori messa in piedi negli ultimi anni.
Il caso San Marino
“Credo che la Repubblica di San Marino nei rapporti con Roma – afferma con convinzione il Presidente dell’Associazione Bancaria Sammarinese Pier Paolo Fabbri – dovrebbe tener conto degli accordi che la Svizzera ha fatto con la Germania e la Gran Bretagna e che l’Italia ora sembra voler seguire. E’ un fatto che scompagina in maniera radicale quelli che erano gli approcci ex ante. Prima ci si muoveva all’interno di un accordo Ecofin adottato all’unanimità. Questo tipo di accordi poi vanno nella direzione di salvaguardare un certo tipo di riservatezza al di là collaborazione amministrativa in materia fiscale. E’ evidente che lo scenario muta alla radice. E senza ombra di dubbio può funzionare il principio del prelievo fiscale alla fonte sui capitali depositati, in questo caso in Svizzera, che poi viene restituito al paese di origine del correntista. Certo è che bisognerebbe ragionare in maniera approfondita e dettagliata su i dettagli di un possibile accordo: sono quelli che fanno la differenza. In una ridefinizione dei rapporti con l’Italia, non vi è dubbio che in prima battuta sia assolutamente necessario l’accordo contro le doppie imposizioni che va ben oltre il sistema bancario e finanziario, ma resta il fatto che per le banche sammarinesi in relazione ai redditi da capitale un accordo di tipo svizzero avrebbe un senso. Eccome se potrebbe averlo. E’ una strada, insomma, già seguita da Londra, Berlino, e probabilmente da Parigi e Roma, quindi diventa fondamentale prenderla in considerazione”. L’altro grosso problema per gli accordi che ha firmato o che firmerà la Svizzera è la sindrome di Singapore. Da qui al 2013 molti correntisti esteri potrebbero abbandonare in fretta e furia la Confederazione per un paradiso fiscale dall’altra parte del mondo. Urgono immediate ganasce, stanno già urlando gli operatori specializzati.