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Teatro, cinema, televisione: la parola ad Alessandro Gassman

da Redazione

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Intervista in esclusiva al “giurato”, in giuria al Premio Riccione per il Teatro edizione 2011. Finanziamenti concessi ai teatri in Italia, artista non ha dubbi: “La situazione in Italia è davvero preoccupante”.

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di Alessandro Carli

 

Nella giuria della 51esima edizione del Premio Riccione per il Teatro (diretto per la prima volta da Simone Bruscia), oltre al presidente Umberto Orsini, anche Fabrizio Gifuni, Isabella Ragonese, Sonia Bergamasco, Claudio Longhi, Elio de Capitani, Fausto Paravidino e Alessandro Gassman. Ecco l’intervista ad Alessandro Gassman.

 

Lei lavora a teatro, in televisione e nel cinema. Quali sono le differenze sostanziali tra i tre settori?

 

“In televisione, per un film o una serie, in una sera si riescono a raggiungere milioni di spettatori. In una stagione teatrale, 200 mila. Il cinema invece ha altre dinamiche. Sono mondi abbastanza distanti, diversi, anche se poi spesso il cinema approda sul grande schermo. Credo che la televisione abbia, per natura, grandi numeri, ma spesso poca qualità. Tranne pochi, pochissimi esempi – su tutti, ‘Anno zero’ -, è una perdita economica. La televisione di Stato è sovvenzionata dai cittadini che pagano il canone: sarebbe forse più opportuno che chi paga, potesse decidere cosa vuol vedere”.

 

Il teatro, in questo senso, è forse più libero…

 

“Certamente il teatro coinvolge meno denaro: si è più liberi: si possono portare in scena storie astratte. C’è, credo, la possibilità di raccontare storie più ampie, sia di autori del passato che di artisti contemporanei. Il teatro è passione: in scena, si abbatte la quarta parete. E soprattutto si premia la meritocrazia, cosa che non succede in televisione”.

 

Lei è anche direttore del Teatro Stabile del Veneto. Da dentro, come vede la scena?

 

“Sinceramente pensavo ci fossero più pressioni politiche, invece si riesce a lavorare in libertà. Come Stabile, cerchiamo testi contemporanei e particolari, magari meno esplorati. Ad ogni modo, non è facile gestire un teatro: la cosa pubblica deve essere amministrata guardando i bilanci. I soldi vanno investiti con parsimonia, cercando di proporre lavori dignitosi. La gente non si siede in poltrona e assiste passivamente a quello che avviene sul palco: giudica, riflette, esige. La situazione del teatro italiano è preoccupante, se confrontato con quello europeo. Un esempio su tutti: un teatro in Germania, esattamente a Berlino, riceve sovvenzioni statali come l’intero budget messo a disposizione per tutti i teatri italiani. E’ un dato che deve far riflettere: siamo molto indietro rispetto al Vecchio Continente”.

 

Perché i cartelloni sono pieni di spettacoli ‘classici’? Esiste una drammaturgia contemporanea?

 

“Credo di sì. Ho appena letto 350 testi nuovi, di autori di oggi. Purtroppo, troppo raramente chi ha in mano la gestione dei teatri non ha il coraggio o la voglia di rischiare. Le stagioni in cartellone propongono spesso testi triti e ritriti. Come Stabile del Veneto, quest’anno proporremo quattro spettacoli ‘nuovi’. Le due novità sono rappresentate da ‘Wordstar(s)’ di Vitaliano Trevisan e da ‘Infinito’ di Tiziano Scarpa. Lo scorso anno, sempre come Teatro Stabile del Veneto, abbiamo rischiato parecchio, mettendo in rassegna spettacoli abbastanza unici: da Pippo Delbono a Samuel Beckett. Abbiamo registrato un 30% in più di abbonati rispetto all’anno prima. A Venezia, il pubblico più maturo non ama cullarsi nei ricordi. Non ama i testi troppo frequentati, anzi: è molto aperto alle novità. Abbiamo proposto alcuni spettacoli, che hanno funzionato”.

 

Dallo spettacolo “K2” (messo in scena a metà anni ’90) al recente “Roman il cucciolo”, com’è cambiato Alessandro Gassman?

 

“Al di là della crescita degli anni, sono cambiato io. Ora sono anche regista dei miei spettacoli: un doppio ruolo che mi è d’aiuto anche per la parte recitata, da attore. Da attor,e in passato, ho ‘rischiato’ parecchio cercando copioni e testi abbastanza particolari. Mi piace il teatro iperrealista, dalle tematiche forti. Tematiche che ho affrontato sia nello spettacolo ‘La parola ai giurati’ che in ‘Roman il cucciolo’. Quest’ultimo spettacolo diventerà anche un film. Credo che ‘Roman il cucciolo’, che è stato visto a teatro da oltre 200 mila spettatori, abbia lasciato un segno violentemente profondo. E’ una storia raccontata attraverso un ‘linguaggio di strada’, senza pudori, senza essere bacchettone. Oggi, invece, si tende a indorare la pillola”.

 

In “Roman il cucciolo”, Lei parla con cadenza rumena. Eros Pagni dice che un attore deve avere, nelle sue corde, anche accenti diversi e sfumature dialettali.

 

“In ‘Roman il cucciolo’, per la prima volta, ha recitato in una lingua – o meglio: con un accento – diverso da quello italiano. E’ stata un’esperienza molto interessante. La scelta del dialetto o di una cadenza particolare, se serve per raccontare una storia, è un atto da esplorare: può creare un realismo utile alla credibilità dei personaggi, o del racconto”.

 

Teatro, cinema e televisione. Qual è il suo rapporto con l’arte?

 

“Io sono figlio di una pittrice. Mi piace disegnare, ma complessivamente il mio rapporto con l’arte è intenso, vivo, vibrante. Quando immagino uno spettacolo, scrivo sui fogli di carta la mia idea di spazio, di scenografia. La tratteggio, butto giù qualche bozza, la rielaboro. Lo spettacolo parte dal testo, poi rifletto sulla spazialità. Intimo è anche il rapporto con la musica, con le sonorità che verranno utilizzate sul palco: lavoro con i miei musicisti, ci confrontiamo. Ho molte idee in testa, quando ‘costruisco’ una pièce”.

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