Straordinarie ripercussioni internazionali con l’accordo tra l’americana Exxon e la russa Rosneft. Siglato l’affare del secolo tra i colossi del petrolio. E la BP ne esce con le ossa rotte.
di Saverio Mercadante
Forse è il vero addio alla guerra fredda. Sul piatto cinquecento miliardi di dollari e cinquecento motivi economici, energetici, militari, diplomatici. L’accordo tra la compagnia di Stato russa Rosneft e la compagnia petrolifera americana Exxon avrà ripercussioni straordinarie sulla scenario internazionale. Questa intesa ha emarginato di fatto la British Petroleum, partner storico delle aziende russe, la vera perdente dell’affare del secolo. La partnership tra Exxon e Rosneft comunque esiste già in un grande progetto al largo dell’isola di Sakhalin, nell’estremo oriente russo. Exxon può disporre inoltre di immensi capitali, tanto che secondo Standard &
Poor’s ha un rating superiore a quello del Tesoro degli Stati Uniti. Trionfa quindi il numero uno americano sulla rivale britannica e trionfa Putin: da questa intesa ne esce indubbiamente rafforzato sia sul piano internazionale che su quello interno. Per molti analisti la cooperazione tra le grandi compagnie occidentali e quelle dei Paesi produttori è la vera leva per risolvere i problemi energetici del futuro. L’accordo per esplorare e sfruttare il gigantesco giacimento del Kara Sea nell’Artico consentirà alla Russia il controllo delle rotte e dei fondali del circolo polare artico. Il passaggio artico con lo scioglimento progressivo di larghe aree dei ghiacci, è sempre più strategico, non solo per l’energia, ma anche per i trasporti: movimentazioni delle merci, oro nero e gas azzurro possono creare una nuova gigantesca innovazione di sistema che ha anche rilevanti conseguenze militari e diplomatiche. Oltretutto si avvierà un processo di diversificazione dell’industria russa: saranno garantiti alla Rosfnet importanti partecipazioni in giacimenti texani e in altri impianti off shore in Messico e in Canada. Un “dare e avere” che ha fatto storcere il naso a più di uno negli Stati Uniti. Ma la contropartita era troppo allettante: lì sotto nell’Artico c’è un tesoro immenso oltre che di petrolio, di gas naturale e di giacimenti di metalli preziosi ancora da esplorare. Nelle zone dell’Artico sotto controllo russo s’inizierà con un progetto di esplorazione nel mare di Kara, per un costo di 3,2 miliardi di dollari, ma la portata degli investimenti futuri è stimata a 500 miliardi in joint venture Exxon-Rosneft, di cui 200 o 300 miliardi per la parte americana. Per le sole aree a sovranità russa del circolo polare artico si fanno previsioni monstre. Secondo le stime di Rystad Energia, sotto il Mar di Kara si troverebbe l’equivalente di 108 miliardi di barili di petrolio. Una cifra non trascurabile anche per un colosso come la Exxon, in un’area da sempre off-limits per le compagnie petrolifere occidentali. E ci sarebbero anche 47 mila miliardi di metri cubi di gas, più o meno il trenta per cento delle riserve esistenti in tutto il pianeta. Oltre a una quantità enorme ancora non verificata di gas liquefatto. Il mare di Kara era considerato inaccessibile fino a un’epoca recente, perché bloccato dai ghiacci. Per gli effetti del cambiamento climatico, oggi le barriere di ghiaccio stanno riducendosi. L’inquinamento da idrocarburi ha aumentato le temperature: quattro gradi in più quest’anno. Quello che preoccupa moltissimo gli ambientalisti di tutto il mondo, rende felici i petrolieri: le inviolabili barriere di ghiaccio e le temperature proibitive provocavano costi proibitivi per la trivellazione e rendevano difficilissimi i trasporti. Exxon è comunque una specialista nelle estrazioni difficili e avvierà la prima fase dell’individuazione dei punti di estrazione. Dunque, le mutate condizioni climatiche hanno dato una chiave di risoluzione alle mutate condizioni internazionali. Innanzitutto, le tensioni in Medio oriente e Maghreb hanno reso meno affidabili quei mercati. Il riavvio dei pozzi iracheni richiederà ancora molto tempo. La tragedia ecologica della Deep Horizon ha reso invece più costose le trivellazioni negli Usa. Per questo, già da mesi, la maggiori imprese petrolifere cercavano l’intesa con La Rosneft. La prima è stata la British Petroleum, poi ci ha provato Chevron, alla fine però l’ha spuntata la Exxon. Secondo il primo commento del New York Times, il maxi-accordo tra Exxon e Rosneft sarà un test sull’affidabilità della Russia, che in passato non ha esitato a “stracciare” intese internazionali.