Elogio del giardinaggio (e dell’orticoltura) nel libro di Paolo Pejrone. L’angolo verde qui non è metafora della vita, ma luogo di piaceri semplici. Di Simona B. Lenic.
di Simona B. Lenic
Si dice che sia santa. Si dice che basta averne un po’ per riuscire a fare tutto. La pazienza è desiderata e difficile da scovare come la brezza da una finestra da cui entra solo afa.
Non c’è individuo che nell’arco della giornata non la invochi almeno per un attimo. Non c’è casalinga, commercialista, barista o nonno che non la trovi fondamentale. Eppure per quanto la si cerchi è davvero difficile da mettere in pratica. A volte sembra siano finite le scorte, forse siamo in un momento di carestia, o semplicemente è sottovalutata e quindi ignorata. Si ha così bisogno di imporre la propria opinione, il proprio punto di vista, che fare un passo indietro e aspettare il proprio turno è una possibilità che non viene nemmeno presa in considerazione.
Eppure anche la pazienza può diventare un’abitudine, a cui giungere tramite allenamento. Le persone per lo più sono costrette ad allenare la pazienza sul posto di lavoro, per evitare di scatenare una guerra ogni volta che si parla con il capo o il collega. Altre la devono dedicare ai figli, alle moglie e ai mariti, perché non c’è altra via per raggiungere l’armonia familiare. E c’è chi si allena fuori casa, curando piante e fiori, come ci spiega Paolo Pejrone ne “La pazienza del giardiniere. Storie di ordinari disordini e variopinte strategie” (Einaudi).
Pejrone è un architetto di giardini, scrive quasi come se tenesse un diario, in cui annota osservazioni e sensazioni, educando l’occhio del lettore al bello e alla calma che la natura richiede. Il giardino qui non è una metafora della vita, è un luogo in cui lavoro e bellezza si incontrano, in cui ancora è possibile scovare il gusto della semplicità, o meglio ancora, della spontaneità.
Ci sono piccoli piaceri che sono alla portata di occhi ma che spesso fuggono per mancanza di tempo, o per l’ormai consolidata tendenza a dare tutto per scontato, dal canto dell’usignolo al tappeto di foglie che invade i giardini quando l’estate finisce. E ci sono piaceri che hanno bisogno di fatica, come quando si cura un orto. Puoi spaccarti la schiena sopra semi e piantine, puoi vangare, zappare e rastrellare, ma se non hai la pazienza di aspettare, se non ci metti “affetto” oltre che sudore, non potrai mai gustare rucola, insalata e fragole della tua terra. Pejrone non racconta le difficoltà della vita servendosi dei problemi che puoi incontrare in un orto, ma con uno stile semplice e preciso – non pedante – condivide piccoli consigli, suggerimenti, viaggi, partendo dal presupposto che “in giardino non c’è fretta”. Il tempo che scorre tra queste pagine è altro da quello che respiriamo nelle strade di città. Altri gli obiettivi, altri i modi per raggiungerli.
È come imparare un lavoro nuovo: all’inizio sembra difficile, poi ci prendi la mano, e alla fine ci prendi gusto. Così succede per la pazienza, sia dentro che fuori dal giardino. Anche perché bisogna ammetterlo, la pazienza è qualcosa che dobbiamo agli altri, per tutte le volte che gli altri l’hanno adoperata con noi.