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Germania, la locomotiva d’Europa non si alimenta con nuove tasse

da Redazione

Altro che ganasce fiscali, il gettito fiscale alemanno s’impenna in virtù della crescita economica. In compenso fa discutere la vecchia tassa per sostenere la metà ex-comunista della mela.

 

 

di Saverio Mercadante

 

Altro che ganasce fiscali. In Germania decolla il gettito fiscale perché la crescita ormai vola a lungo raggio. Una manna benedetta di 22 miliardi di euro di nuove entrate è caduta nelle casse dello stato. Si registra un 9,8% in più rispetto al primo semestre del 2010. Una crescita record del gettito per la ritrovata locomotiva d’Europa che non proviene da misure d’austerità, né da batoste sulle famiglie a basso reddito: “solo” crescita economica e aumento dei posti di lavoro. Il Pil tedesco è cresciuto del 3,6% nel 2010 e del 5,2% (anno su anno) nel primo trimestre del 2011. I nuovi posti di lavoro nel primo trimestre del 2011 sono stati  552.000: rispetto allo stesso periodo del 2010 un +1,4%. Il numero degli occupati in Germania è salito a 40,4 milioni. E’ il livello più alto dai tempi della riunificazione. All’inizio dell’ultimo decennio, la Germania era la Schlusslicht Europas, il fanalino di coda dell’Europa; oggi è l’acclamata Superstar. Vi è stato un contributo sostanziale del mondo imprenditoriale, i governi in questi anni hanno introdotto contratti di lavoro a tempo parziale e determinato, ridotto il generoso welfare state. Solo nel 2006 il Paese è tornato a crescere. Tra il 1994 e il 2009 il costo del lavoro tedesco rispetto a quello dei suoi concorrenti europei è sceso in termini reali del 20 per cento. Per i conti dello stato buone scelte anche su lato pensionistico: già nel 2000 Schröder aveva introdotto la pensione privata. Nel 2007, il Governo decise l’allungamento graduale dell’età pensionabile da 65 a 67 anni.

 

La tassa di solidarietà per l’unificazione


Ma in Germania fa molto discutere un’altra tassa, la Soli: quella che è stata creata sedici anni fa per sostenere la crescita della Germania dell’Est dopo l’unificazione. E’ stata confermata dalla Corte costituzionale: ha respinto l’ennesimo ricorso che voleva eliminarla.  Dopo il crollo della RDT la produttività media della Germania comunista si aggirava su un terzo della produttività della Repubblica Federale. E a suo tempo i finanziamenti ricavati dalla privatizzazione della cosiddetta “proprietà del popolo” fu molto più bassa del previsto. I costi dell’Unità Tedesca si svilupparono oltre le stime più pessimistiche. La popolazione dell’Est ha dovuto sopportare gli oneri sociali dell’unità, la popolazione dell’Ovest, per gran parte, quelli finanziari. All’annus mirabilis 1989/1990 seguì quindi un arido processo di convergenza con prospettive a lungo termine. Inoltre i successi dell’Aufbau Ost (“Sviluppo dell’Est”), che pian piano si manifestavano, non furono sempre adeguatamente percepiti. Dei risultati più spettacolari dell’Aufbau Ost fa parte il risanamento dei quartieri residenziali dei centri urbani, e non solo di città come Dresda, Lipsia, Chemnitz o Halle, che ai tempi della DDR erano stati abbandonati a un costante degrado. Altri esempi sono gli impianti delle telecomunicazioni dei nuovi Länder, che sono tra i più moderni in Europa, l’organizzazione di un polo universitario di eccellenza, la posizione all’avanguardia mondiale delle aziende della tecnologia solare e ambientale lì insediate. Anche nel settore dell’infrastruttura della tutela dell’ambiente e della natura, dello sviluppo del turismo e della conservazione di beni culturali sono stati intrapresi enormi sforzi. Alcune regioni  come Sassonia e Turingia hanno prodotto negli ultimi anni numeri a volte migliori di quelli di alcune regioni dell’ovest. Ma in ogni caso a 20 anni di distanza, l’Est tedesco resta ancora dipendente dagli aiuti e i trasferimenti pagati annualmente dallo stato federale oscillano tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno. Nonostante questa sorta di nuovo rinascimento, l’economia  della Germania orientale continua a zoppicare dietro quella occidentale, la produttività è più bassa, la disoccupazione più alta e, dato più preoccupante, il processo di recupero sembra essersi arrestato. Tutti e cinque i nuovi Länder più quello di Berlino, che per metà faceva parte della Ddr, hanno occupato gli ultimi posti nella classifica regionale della crescita economica del 2010, un risultato dovuto alla carenza di aziende esportatrici. Se l’export è infatti il motore della crescita attuale, l’Est soffre, nonostante le eccezioni prima citate, per l’assenza di imprese capaci di proiettare la propria produzione all’estero. Secondo gli analisti, la Germania dell’Est non supererà mai, nel migliore dei casi, la soglia del 90% della ricchezza prodotta a Ovest. Si tratta di una barriera di tipo strutturale: a Est mancano i grandi centri industriali ricchi di molte aziende e di imprese internazionali. Delle 100 maggiori imprese del Paese, nessuna ha la sua sede in un Land dell’ex Germania Est e al contrario prevalgono aziende di piccola e media dimensione o succursali delle grandi industrie dell’Ovest. Pesa dunque l’assenza di imprese capaci di impiegare migliaia di lavoratori, incamerare grandi introiti e finanziare l’innovazione. Dunque, non si potrà fare a meno della tassa di solidarietà, la Soli, sarà ancora per molti anni necessaria per evitare che si accrescano ulteriori squilibri sociali. I trasferimenti dall’Ovest all’Est hanno consentito comunque di raggiungere alcuni buoni risultati: nel complesso la forza economica dell’Est ha oggi toccato il 70% di quella occidentale, contro il 33% del 1991 e il reddito pro-capite attuale è di 15.600 euro contro gli 8 mila di 20 anni fa, mentre quello dei vecchi Länder tocca i 20 mila euro. Intanto i tedeschi stanno pensando al loro scudo fiscale per far felice l’agenzia delle entrate di Berlino con un trattato con la Svizzera. I nomi degli evasori rimarranno segreti, però le banche svizzere verseranno subito un anticipo di 4 miliardi di euro allo Stato tedesco. Si rivarranno  in seguito sui clienti, prelevando fino al 30% dei redditi generati dal capitale depositato oltrefrontiera negli ultimi dieci anni. Il governo, che stima in 150 miliardi di euro i depositi tedeschi in Svizzera, prevede di recuperare altri 6 miliardi di euro (oltre all’anticipo) dalla tassazione dei redditi da interesse, incassando un totale di 10 miliardi di euro dall’amnistia.

 

 

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