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L’Europa e la crisi della Grecia

da Redazione

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Emerge la debolezza della governance europea, con dei responsabili politici mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo.

 

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Il modo con cui è stata gestita la recente crisi della Grecia, fa emergere la debolezza della governance europea, con dei responsabili politici mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare il ripetersi di simili situazioni bisognerebbe puntare su un’integrazione maggiore dell’attuale. Va detto che il nuovo Patto di stabilità e crescita prevede vincoli più stringenti rispetto alla sua forma attuale, siamo però ancora lontani dalla creazione di una vera e propria federazione di Stati con un suo bilancio. Questa prospettiva, per quanto avveniristica possa sembrare al momento, è la sola che può garantire la sopravvivenza dell’euro nel lungo periodo. Ben maggiore sarebbe la solidità della “casa comune” europea se i bilanci dei Paesi dell’Eurozona fossero consolidati in un unico bilancio federale, con tutti gli indicatori di finanza pubblica migliori di quelli degli USA, paese che tuttora ha un rating AAA. Se il dedito pubblico della zona euro fosse garantito dal Pil di tutta l’area nel suo complesso, esso avrebbe un’affidabilità elevata, consentendo anche ai paesi “periferici” di finanziarsi a tassi contenuti. Una seria riflessione dovrebbe andare in questa direzione, anziché cullarsi nell’idea che si possa risolvere tutto con l’espulsione della “mela marcia”, che sarebbe solo l’inizio del crollo della “casa comune”. Un primo passo si potrebbe già fare verso una politica di bilancio europea, rivedendo i meccanismi di governance delle crisi debitorie. Nell’attuale Efsf (European Financial Stability Facility), nato per la stabilità della politica monetaria assistendo gli Stati in difficoltà finanziarie, la decisione sull’erogazione dei fondi è subordinata al consenso unanime dei governi nazionali. Inoltre, l’Efsf è sottoposto a vincoli che ne pregiudicano l’efficacia, come l’impossibilità di intervenire sul mercato secondario dei titoli di Stato. Bisognerebbe, invece, che la gestione fosse affidata a un organismo tecnico, simile al Fmi, dotato di ampi poteri e di una rappresentanza adeguata. L’indipendenza di un simile organismo dagli Stati nazionali potrebbe rendere non solo meno impacciata l’operatività, ma anche più facile l’assunzione di un’ottica di medio – lungo periodo per i piani di salvataggio e le manovre d’aggiustamento dei Paesi in crisi.

 

 

 

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